Alta tensione nel Mediterraneo e in Siria per il possibile attacco contro il regime di Bashar al-Assad per il presunto attacco chimico su Duma del 30 marzo. Donald Trump ha frenato sui tempi di un’eventuale azione militare: «Mai detto quando avrebbe avuto luogo un attacco alla Siria. Potrebbe essere molto presto oppure no», ha twittato il presidente americano. L’inquilino della Casa Bianca ha ricordato che in ogni caso, gli Usa, sotto la sua amministrazione, già «hanno fatto un grande lavoro per liberare la regione dell’Isis. Dov’è il nostro “Grazie America?”», si è chiesto. Anche il presidente francese, Emmanuel Macron, ha insistito sulla necessità di impedire a Damasco di usare ancora armi chimiche ma ha assicurato che «in nessun caso la Francia provocherà un’escalation che possa minacciare la stabilità della regione».
La posizione di Mosca
Dal fronte opposto, Mosca ritiene «assolutamente necessario» evitare un’escalation in Siria e ha aperto un canale di comunicazione con Washington per cercare di abbassare la tensione. Il ministero della Difesa russo ha chiesto al Pentagono di conoscere in anticipo le coordinate di un eventuale attacco missilistico e la Marina di Mosca ha limitato la navigazione nell’area vicino alla costa della Siria. Il Segretario della Difesa americano, James Mattis, ha confermato nella notte che «tutte le opzioni sono sul tavolo e che sarà fatta la scelta più adatta». Intanto gli aerei da ricognizione dell’Aeronautica Usa continuano a sorvolare l’area: due sono atterrati nelle ultime 24 ore sull’isola di Creta. Attualmente nel Mar Mediterraneo vi sono circa 15 navi da guerra russe e unità che riforniscono la flotta del Mar Nero. Mosca ha fatto sapere che un attacco contro le sue navi avrebbe «conseguenze catastrofiche».
Telefonata Erdogan-Trump
Il presidente siriano, Bashar al-Assad, da parte sua ha avvertito che «un’azione occidentale destabilizzerà ulteriormente la regione» e il suo collega turco, Recep Teyyip Erdogan, preoccupato per la situazione, ha sentito al telefono Trump e in giornata contatterà anche Vladimir Putin per «discutere di come fermare questi massacri con armi chimiche». Londra e Parigi, intanto, si preparano a un possibile attacco. Dalla Gran Bretagna sono partiti per il Mediterraneo due sottomarini della classe Astute in grado di lanciare missili da crociera Tomahawk IV con una gittata di 1.600 chilometri. Il ministro britannico per la Brexit, David Davis, ha però sottolineato che «non è stata ancora presa una decisione».
Macron: “Abbiamo le prove delle armi chimiche”
Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha assicurato che c’è «la prova che la settimana scorsa sono state utilizzate armi chimiche in Siria da parte del regime» e in un’intervista a TF1 ha spiegato che Parigi vuole «togliere» a Damasco «la possibilità di utilizzare armi chimiche», affinché «mai più si debbano vedere le immagini atroci viste in questi giorni, di bambini e donne che stanno morendo». «Ci sono decisioni che prenderemo quando lo riterremo più utile ed efficace», ha aggiunto riguardo un possibile intervento armato, aggiungendo che «in nessun caso la Francia provocherà un’escalation che possa minacciare la stabilità della regione»: La ministra della Difesa olandese, Ank Bijleveld, ha espresso sostegno a un’eventuale «azione militare proporzionata», se le misure diplomatiche e politiche economiche si rivelassero «insufficienti».
Il regime riprende il controllo della Ghouta
Nel frattempo, sul terreno, l’esercito governativo di Damasco ha preso il controllo totale della Ghouta Orientale. Gli ultimi ribelli rimasti a Duma hanno consegnato le armi pesanti e il loro leader, Issam Buwaydani, ha lasciato l’enclave per raggiungere una zona controllata dall’opposizione nel nord della Siria. In città sono stati dispiegati uomini della polizia militare russa «per garantire la sicurezza» e su un edificio è stata issata la bandiera nazionale rossa, bianca e nera con due stelle verdi. Le formazioni ribelli nei governatorati di Hama e di Idlib, stando a fonti locali, hanno mobilitato i loro uomini per prepararsi ad approfittare militarmente dell’imminente offensiva Usa contro l’Esercito siriano.
La Stampa