C’erano una volta / John Charles

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Era il gigante buono del gol ma fu preso a calci dalla vita

L’imponente attaccante bianconero incassava le botte dei difensori senza fiatare. Tirò solo uno schiaffo, al compagno Sivori. A Roma il declino, poi la fine tra alcol e miseria

John charles

(di Cesare Lanza per LaVerità) A John Charles, il Gigante buono, leggendario centrattacco della Juventus, è legato un bel ricordo della mia spensierata giovinezza. Era un’estate caldissima all’inizio degli anni Sessanta: l’Italia illuminata dalla ripresa economica, l’arrivo del rock and roll, le belle ragazze che mi accompagnavano al mare e nelle prime, volenterose esperienze in giornalismo… Cosa desiderare di più, dalla vita? Mi ero inventato una collaborazione a un grande giornale sportivo, visto che d’estate le firme famose, i professionisti più importanti erano partiti per le vacanze: avevo proposto di intervistare i campioni di calcio durante le loro ferie nelle spiagge liguri (vivevo a Genova). Proposta accettata, e cosi riuscivo a pubblicare servizi che mai mi sarebbero stati affidati, in un’altra stagione dell’anno. La stragrande maggioranza dei calciatori, famosi e no, preferiva scegliere le località dell’Adriatico, più modaiole. Ma alcuni, per fortuna mia, venivano anche in Liguria. Tra pochi altri Giacinto Facchetti, di cui scriverò un’altra volta. E, protagonista del mio racconto di oggi, John Charles.

Partii, come sempre, con la mia utilitaria e una ragazza al fianco, che sarebbe andata a farsi un tuffo in mare, durante le due ore della mia intervista. Di solito arrivavo in tarda mattinata o alla fine del pomeriggio, all’ora dell’aperitivo. Quella volta, per il traffico sull’Aurelia, arrivammo in ritardo, all’ora di pranzo. Il mitico John era ospite di un albergo a Diano Marina, se ricordo bene: sono passati cinquantanni! Dissi alla ragazza di svignarsela in spiaggia e, sfacciatamente, entrai nella sala del ristorante e mi avvicinai al tavolo dove John stava pranzando con la moglie, Peggy. Avevo concordato l’incontro per telefono. Mi presentai, mi scusai per il ritardo e gli dissi che lo avrei aspettato nell’atrio attiguo. Di là mi appostai su una poltrona, con un comodo punto di osservazione. Ricordo che la moglie – notoriamente di carattere difficile – parlava animatamente, gesticolava, forse innervosita per qualche rimostranza, mentre il campione mangiava e beveva tranquillo, imperturbabile.

Mio padre non vedeva di buon occhio le mie voglie di giornalismo, sognava per me «il posto sicuro», possibilmente impiegato in banca, com’era lui. Però, da sempre, era uno sfrenato tifoso della Juventus. Quando seppe che avrei conosciuto e intervistato John Charles, per una volta cambiò atteggiamento, felice come qualsiasi fan della Zebra: abitualmente taciturno e anche un po’ cupo, in quell’occasione, con occhi scintillanti, mi espresse varie curiosità, soprattutto sul rapporto tra Charles e un altro idolo della squadra di quel tempo, Omar Sivori. E quella fu la prima domanda che rivolsi a John, quando mi raggiunse nell’atrio dell’albergo. Subito mi chiese se avessi pranzato e mi offrì una birra. Accettai con malcelato entusiasmo e mi avventai, mentre bevevamo e chiacchieravamo, sui piattini delle olive e delle patatine.

Charles era un gallese forte ed equilibrato, gigantesco: esemplare per correttezza e lealtà. Sivori invece era piccolo, un argentino senza disciplina, sempre inquieto e impertinente. «In allenamento ci fa sempre divertire, ha una fantasia straordinaria… In partita bisogna sorvegliarlo e fare attenzione». E Charles mi raccontò un episodio che già ben conoscevo, rimasto celebre nella storia del calcio. Ricordo che Charles fin dell’esordio si era guadagnato il soprannome di Gigante buono, sia per la sua statura, sia perché non venne mai ammonito o espulso. Incredibile, vero? In ogni partita, per fermarlo, i difensori lo riempivano di calci e di botte. Ma lui accettava tutto e non reagiva, mai, nonostante la sua corporatura e la sua forza atletica.

Ebbene, solo una volta mollò uno schiaffo…! Juventus-Sampdoria: l’arbitro Grignani aveva espulso Sivori per un violento intervento. Omar si scagliò contro l’arbitro per protestare, ma Charles, con agilità e prontezza, lo afferrò, gli rifilò uno schiaffone e lo tenne lontano da Grignani, evitandogli una squalifica più pesante. Tra i due era nata un’amicizia di acciaio: protettivo e paziente John, che non protestava mai per gli infiniti scherzi che Omar, provocatore nato, gli faceva quasi ogni giorno (guai però se qualcuno, in sua presenza, osava esprimersi in modo critico o ironico sul Gigante).

Charles ha picchiato volutamente solo un avversario, il fratello, Mei, nel corso di un’amichevole fra Juve e Arsenal. Mei lo marcava, John non voleva che la gente pensasse a un duello finto.

Un altro episodio indimenticabile… In una sfida tra Juventus e Inter John, scattando verso la porta di Enzo Matteucci, colpì con una gomitata involontaria un avversario: l’arbitro non intervenne. Per Charles sarebbe stato facile puntare al gol indisturbato, invece si fermò per soccorrere l’avversario, stramazzato a terra. Un altro grande tifoso juventino, l’ex ministro Agazio Loiero, mi ha raccontato di aver chiesto a Gianni Seghedoni, alla vigilia di una sfida con Charles, come pensasse di fermare il Gigante. Seghedoni, difensore e capitano della Lazio, gli rispose candidamente: «Gli menerò dal primo all’ultimo minuto. Non c’è altro modo e non sono sicuro che possa bastare!» (non bastò). Giampiero Boniperti diceva: «Con lui al fianco avresti affrontato il mondo. Ma quante ne prendeva John, e non ha mai reagito. Lo picchiavano per fermarlo o per non farlo saltare e lui niente, sopportava. Mai un lamento. Quando proprio non ce la faceva più, mi diceva, quasi per scusarsi: “Boni, quello picchiato me”». E il figlio Peter ha ricordato: «Tutti apprezzavano la correttezza al di là dei gol. Mi diceva: “Quando sono diventato professionista, ho deciso che non avrei mai fatto del male a un avversario e ho tenuto fede alla mia promessa”. Non so se fosse lo spirito gallese o il modo in cui era fatto mio padre. Ma è sempre stato così».

William John Charles era nato a Swansea il 27 dicembre 1931. Famiglia umile di minatori, con un fratello, Mei (anche lui calciatore). I genitori Ned e Lily lo affidarono a un asilo per bambini bisognosi. Per sopravvivere John decide di fare anche lui il minatore. Ma da sempre ha una forte passione per il calcio: pur di giocare fa anche il ciabattino e lo spazzino, al servizio dei titolari. E nel 1949, a 17 anni, gioca per il Leeds United, impiegato sia come difensore sia come attaccante.

Segna 150 gol in otto anni, per i tifosi diventa King John. Nel 1957 arriva alla Juventus per la cifra record di 65.000 sterline (110 milioni). In bianconero cinque anni: 178 presenze e 105 gol, tre scudetti e due vittorie in Coppa Italia. Torna in Inghilterra, al Leeds United, soprattutto per accontentare la «terribile» moglie. Poi ancora in Italia, nella Roma, e infine al Cardiff City. Una malinconica decadenza… Nel 1974 si ritira definitivamente, dopo alcune esperienze inglesi – trascurabili – come allenatore.

La sua fama resta indiscutibilmente legata al favoloso quinquennio juventino. Con compagni di squadra, oltre a Sivori, come Carlo Mattrel, Giuseppe Vavassori, Giuseppe Corradi e Bruno Garzena, Umberto Colombo, Flavio Emoli, Rino Ferrano, Giampiero Boniperti (capitano), Bruno Nicolè, Gino Stacchini, Giorgio Stivanello. E poi, via via, Ernesto Castano, Gianfranco Leoncini, Ermes Muccinelli, Sergio Cervato, Benito Sarti, Tarcisio Burgnich, Roberto Anzolin, Humberto Rosa, Gianfranco Zigoni. Il giornalista Mario Gherarducci scrisse: «In quella squadra c’erano la potenza gallese di John, la fantasia argentina di Sivori e la sapienza tattica, tutta italiana, di Boniperti». «Erano diversi, ma allo stesso tempo complementari: l’amalgama del terzetto all’inizio non fu semplice per la difficile convivenza, e rivalità sul campo, tra Boniperti e Sivori: frequenti screzi tra i due, il campione italiano non sopportava lo scarso impegno dell’oriundo fuori dal campo. E Charles chi, se no? – faceva da paciere». Ernesto Ferrerò disse: «Nella distribuzione romanzesca delle parti, John Charles era l’Ursus di Quo vadis, egregio partner del cardinal Boniperti e dello sciuscià Sivori. Mai si sarebbero visti giocatori così diversi, anche umanamente, e così perfettamente complementari». John era il bersaglio preferito di scherzi e sfottò di Sivori, ma Omar lo stimava e rispettava. Sivori incassò la famosa sberla o gli ammonimenti di John senza mai fiatare. Boniperti ha detto: «A volte faceva rabbia perché non voleva difendersi. Ma era uno dei giocatori più belli, più interessanti: splendido da vedere, pulito, non faceva una scorrettezza che potesse far male». E Sivori: «Quando eravamo alla Juve, le due persone più importanti per la maggior parte dei tifosi cattolici erano il Papa e il Gigante. Per i comunisti, Stalin e il Gigante». E Bruno Garzena: «Non aveva mai una lira in tasca, John non aveva mai capito bene il cambio tra lire e sterline, era poco attento ai soldi. Capitava spesso che gli dovessi pagare persino il cinema. Che giocatore, però! Quello che fece nel primo anno alla Juventus, tra gol fatti, gol salvati e assist, non ho mai più visto farlo a nessuno».

Del suo romanzesco rapporto di amicizia con Sivori, Charles ha detto: «Omar arrivò una settimana dopo di me. Lui parlava spagnolo e io inglese, non capivamo nulla delle nostre conversazioni… Per me è stato il miglior giocatore di sempre. E penso che fosse lui a proteggere me. Era molto focoso in quello che faceva, sempre pronto a reazioni d’impulso».

Si sposò due volte. Nel 1953 con la molto amata, ma insopportabile, Peggy: con lei ebbe quattro figli: Peter, Terry, Melvyn, David. Litigi e incomprensioni, soprattutto perché Peggy non voleva vivere in Italia, desiderava tornare in Inghilterra. John, mite e remissivo, stracciò il rinnovo del contratto, per non contrariarla. Ma infine l’inevitabile divorzio e Peggy portò con sé i figli. Charles uscì devastato dalla rottura. Solo dopo alcuni anni gli amici gli presentano Glenda, lui si innamora e la sposa, lei gli resta fedele e vicina fino alla fine.

John era anche un bravo cantante, incise un disco: da un lato Sixteen tons, il pezzo famoso dei Platters; sull’altra facciata Love in Portofino, un successo di Fred Buscaglione. Una sera in un locale John stava cantando e alcuni tifosi della Fiorentina, un po’ ubriachi, iniziarono a prenderlo in giro. Sivori, come una furia, menava botte, incurante di essere da solo contro trenta. E John, con la sua prestanza fisica, riuscì a salvarlo dai guai.

Il declino cominciò con la Roma. Charles perse il suo entusiasmo: solo 4 gol in stagione. E al ritorno in Inghilterra finisce in miseria, è un uomo infelice nonostante la devozione di Glenda; e alcolizzato. Vive con i poveri sussidi accordati dal governo ai disoccupati e con i prestiti dei vecchi amici della Juve. Nel 1988 viene arrestato per debiti e problemi con il fisco. È un calvario straziante. L’abuso di alcol e sigarette lo debilitano, è afflitto da gravi problemi cardiovascolari. Il 6 gennaio 2004, in Italia, è colpito da un aneurisma all’aorta addominale. È ricoverato al San Carlo di Milano, gli amputano alcune dita del piede destro. Un aereo messo a disposizione dalla Juventus lo riporta a casa per l’ultima volta. Un mese dopo, il 26 febbraio, muore a Wakefield, dimenticato da tutti, all’età di 72 anni.