La blockchain favorisce la sicurezza degli alimenti

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Questa tecnologia, che si basa su database distribuiti, consente ai consumatori di conoscere l’intera filiera del prodotto che stanno per acquistare. Sempre più aziende stanno iniziando a utilizzarla

Inquadrando il Qr Code stampato su un’etichetta possiamo conoscere tutta la vita del prodotto che stiamo per acquistare, risalendo l’intera filiera fino allo scaffale. La tecnologia esiste già e si chiama blockchain. Questo metodo, nato nel settore finanziario, ha sconfinato e oggi è molto usato dall’industria manifatturiera e alimentare.

L’ultimo gigante dell’industria a utilizzarlo è la catena di ipermercati e supermercati francese Carrefour che ha applicato questa tecnologia alla filiera di un tipo particolare di pollo (il pollo d’Alvernia).

In pratica su ogni confezione di questo alimento ci sarà un QRCode che se inquadrato con lo smartphone, permetterà ai consumatori di sapere chi è l’allevatore, che alimentazione ha ricevuto l’animale o ancora quando e dove è stato abbattuto.

“Il sistema blockchain si basa su un database distribuito che è insieme accessibile a tutti e immutabile. In pratica garantisce che le informazioni collegate a quell’alimento non abbiano subito modifiche e siano quindi sicure”, spiega Valeria Portale, direttore dell’Osservatorio blockchain & distributed ledger del Politecnico di Milano. Applicata al settore alimentare questa tecnologia consente a ogni consumatore di controllare tutte le informazioni su quel prodotto prima di comprarlo, prendendo così decisioni più consapevoli sul cibo che sceglie di mettere nel proprio piatto.

Maggior sicurezza. Secondo gli esperti, applicare la tecnologia blockchain al settore agroalimentare può servire inoltre ad aumentare la sicurezza degli alimenti che portiamo in tavola. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità ogni anno sarebbero circa 420.000 le morti dovute al consumo di cibo contaminato. E non si tratta di un rischio a cui sono esposte solo le persone che vivono in aree del mondo in cui le condizioni igieniche sono carenti.

Recenti casi di cronaca, come quello delle uova al Fipronil, hanno infatti messo in luce come esistano rischi – seppur limitati – per la salute anche con gli alimenti che finiscono all’interno della grande distribuzione. “Se nel caso delle uova al Fipronil fosse stata utilizzata la blockchain sarebbe stato possibile per lo meno capire su quali scaffali erano finite quelle contaminate ed eliminarle tempestivamente dalla grande distribuzione”, evidenzia Portale.
Per questa ragione di recente Walmart, il colosso statunitense di negozi al dettaglio, ha stretto un accordo con Ibm per introdurre la blockchain nella filiera di alcuni suoi prodotti così da renderla più sicura e individuare più velocemente eventuali lotti pericolosi. Si tratta di un sistema che le aziende hanno portato anche in Cina dove, assieme a JD.com e all’Università di Tsinghua, stanno usando la blockchain per rendere tracciabile l’intera filiera di uno dei prodotti più commercializzati nel Paese: la carne di maiale.

Un antidoto contro le frodi. “Aumentare la trasparenza e la tracciabilità di un prodotto – continua l’esperta – significa anche fornire strumenti contro le frodi alimentari. Da questo punto di vista la blockchain può rappresentare un mezzo per tutelare i prodotti Made in Italy venduti all’estero e, più in generale, per proteggere i consumatori contro i prodotti falsi”. Rientra in questo ambito, per esempio, la soluzione sviluppata da EY Italia che grazie a questa tecnologia consente di tracciare tutta la storia di una bottiglia di vino, dal campo all’imbottigliamento.

L’Agenzia per la tutela della proprietà intellettuale (Euipo) ha calcolato che contraffazione e pirateria costano alle imprese europee circa 83 miliardi all’anno e comportano una perdita di quasi 800.000 posti di lavoro.

Servono regole comuni. Perché questa tecnologia sia davvero efficace è però necessario che tutti gli attori della filiera alimentare siano disposti a mettere in comune una serie di informazioni e a essere quindi trasparenti. Un tentativo che è riuscito all’azienda inglese Provenance che ha offerto la sua tecnologia basata sulla blockchain ad alcuni operatori della filiera del pesce che hanno scelto di schierarsi contro la pesca illegale fornendo informazioni certe sui pesci da loro venduti.

“Scegliere la blockchain comporta un passaggio culturale complesso. C’è bisogno infatti che tutte le aziende e i soggetti coinvolti decidano di fornire volontariamente informazioni attendibili e le uniscano così da realizzare quella sequenza di informazioni che poi arriverà al consumatore”, precisa Portale. “La blockchain applicata al settore agroalimentare – continua l’esperta – ha potenzialità enormi e ancora non del tutto esplorate. Finora la stanno utilizzando le grandi corporate che sono capaci di condizionare la propria filiera. Ma si tratta sicuramente di uno strumento utile anche per le piccole imprese locali che possono così certificare e tutelare la qualità dei propri prodotti, e persino per le istituzioni che potrebbero introdurre standard condivisi e aumentare in questo modo le tutele per i consumatori”.

Silvia Pasqualotto, Repubblica.it