Svizzera, un “salario giovanile” per evitare i “bamboccioni”

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Il progetto dello psicologo e terapeuta familiare diventa un marchio brevettato: dai 12 anni i genitori versano tra gli 80 e i 160 euro ai figli, perché si occupino delle loro spese (salvo vitto e alloggio). Così i più piccoli imparano a gestire il denaro e scendono le tensioni in famiglia

 

La ricetta svizzera anti-bamboccioni si chiama “salario giovanile”. Il che significa, nel Paese del culto del denaro per eccellenza, insegnare ai giovani, sin dall’adolescenza, il rispetto per i soldi, in quanto sovente significano sacrifici e rinunce. Ma cos’è il “salario giovanile”? Niente di più di una paghetta, corrisposta in modo rigoroso dai genitori ai figli, a partire dai 12 anni, messa a punto e brevettata dallo psicologo e terapeuta familiare Urs Abt. Il quale è arrivato a farne un vero e proprio marchio depositato.
Al progetto, che rientra nei servizi di prevenzione dell’indebitamento, collabora, oltre al Comune di Zurigo, la fondazione Pro Juventute, che sostiene e promuove – attraverso progetti mirati – i bambini, gli adolescenti e i genitori. Il “salario giovanile” funziona così: ai figli si versano dai 100 ai 200 franchi mensili, ovvero dagli 80 ai 160 euro, a condizione che si assumano buona parte delle loro spese esclusi, evidentemente, il vitto e l’alloggio. Il che significa che, con quei soldi, devono, ad esempio, acquistarsi i capi d’abbigliamento, pagarsi il parrucchiere e l’abbonamento del telefonino. Pare che, almeno stando a uno studio dell’Università di Lucerna, il sistema funzioni. L’ateneo ha effettuato un sondaggio online su 944 genitori, la maggior parte dei quali ammette che “i figli imparano a gestire i soldi che ricevono, arrivando a comprare in modo autonomo alcuni oggetti essenziali. Soprattutto dimostrano di aver compiuto passi avanti in autonomia e senso di responsabilità, in tutto ciò che ha a che fare con il denaro“. Ma, al di là di un primo importante passo verso l’autonomia economica, il “salario giovanile” un altro risultato l’ha raggiunto, sempre stando all’università di Lucerna: ha contribuito a ridurre, nelle famiglie, le tensioni legate ai soldi. D’accordo sui sostanziali effetti positivi dell’esperimento anche il professor Remigio Ratti, ex-deputato democristiano al Parlamento federale elvetico e docente di Economia all’Università della Svizzera Italiana di Lugano. “In generale, penso che questa sia la giusta direzione, per superare un regime di paghette varie che non educa, crea conflitti tra genitori, nonni e figli e che poi genera disparità tra gli adolescenti stessi”. Ratti, tuttavia, è convinto che il “salario giovanile può funzionare solo a patto che venga rispettata una condizione indispensabile: che sia introdotto progressivamente e con un accompagnamento responsabile, anche da parte dei genitori”. “Altrimenti- afferma l’esperto -equivale a scaricare sull’adolescente l’intero problema“. L’importante, inoltre, è che a un giovane, magari proveniente da una famiglia benestante, non venga corrisposto un importo esagerato. “Altrimenti ciò contribuirebbe ad aprire ulteriormente le porte a una società sempre più discriminante”. Insomma, un “salario giovanile” non equilibrato, potrebbe avere l’effetto contrario a quello voluto, quindi a non ridimensionare ma, addirittura, a rivalutare la figura dei bamboccioni.

di Franco Zantonelli, La Repubblica