L’ex presidente al MIT di Boston: i giganti della Silicon Valley sono «uno strumento» che favorisce la polarizzazione: «Difficile che una democrazia possa continuare a funzionare in una situazione simile»
NEW YORK — La radicalizzazione del confronto politico esacerbata dal ruolo delle piattaforme come Facebook e Google sta «segregando gli americani in due realtà completamente differenti. Luoghi nei quali non solo le opinioni ma anche i fatti più elementari vengono contestati e rimessi in discussione. È molto difficile immaginare come una democrazia possa continuare a funzionare nel lungo periodo in una situazione simile». Allarmi sui rischi per la democrazia, Barack Obama ne aveva lanciati altri in passato, ma mai in modi così crudo. Nel discorso che ha pronunciato venerdì scorso al MIT di Boston davanti a una platea di professionisti dello sport, dell’industria e di docenti e studenti, l’ex presidente americano si è invece lasciato andare. Aggiungendo anche inedite considerazioni critiche sui giganti della tecnologia. In particolare Obama ha notato che Google, Facebook e altre società della Silicon Valley «rappresentano un bene comune, oltre a essere imprese commerciali» e dovrebbero domandarsi «se stanno contribuendo in qualche modo a corrodere la democrazia». Parole dure, anche se poi il leader democratico ha cambiato tono riconoscendo che «è anche vero che queste piattaforme sociali sono solo uno strumento» che potenzialmente può fare molto di buono, ma poi viene sfruttato da forze del male come l’Isis o i neonazisti.
Probabilmente Obama si è lasciato andare a una serie di considerazioni più franche del solito perchè il discorso, pronunciato a porte chiuse, doveva essere off the record: tutti i partecipanti si erano impegnati a non fotografare né registrare. Vietati i tweet o anche solo menzionare l’evento in pubblico. Ma qualcuno non ha rispettato l’impegno e ha fatto arrivare alla rivista Reason la registrazione del discorso. Ora rimbalzato anche su altri siti come quello di Business Insider. Significativi, soprattutto, i rilievi di Obama sulle aziende di Big Tech per le quali oggi sembra invocare qualche intervento di regolamentazione. Nulla di simile si era sentito durante i suoi otto anni alla Casa Bianca. Certo, allora non c’era stato ancora il Russiagate, né l’emergenza fake news amplificata dalla «camera dell’eco» delle reti sociali. Ma è anche vero che quelle che oggi vengono trattate come i principali imputati, Google e Facebook, erano per Obama aziende «amiche»: nel 2008 divenne presidente anche grazie al supporto digitale alla sua campagna elettorale predisposto da Chris Hughes, il cofondatore di Facebook, mentre il presidente di Google, Eric Schmidt, dopo l’elezione entrò addirittura nel team della transizione che preparò l’insediamento di Obama alla Casa Bianca. Oggi che può osservare le cose con maggiore distacco, l’ex presidente si sente libero di avvertire queste aziende «amiche»: «Avete la possibilità di essere forze per il bene di enorme potenza» ma siete anche strumenti che vengono strumentalizzati dalle forze del male. Dovreste quindi “avviare una conversazione sul vostro business model che riconosca la vostra natura di bene pubblico, oltre che d’impresa commerciale”. Obama non chiede interventi draconiani, non fa parte del partito che invoca la frantumazione dei cosiddetti monopoli digitali, ma aggiunge che «giganti mediatici come Google e Facebook dovrebbero tenere ben presente che il governo degli Stati Uniti ha un ruolo da svolgere nell’assicurare il rispetto di alcune regole di base per far sì che tutti i soggetti che operano nel campo dell’informazione lo facciano su un terreno livellato», pianeggiante: sembra un riferimento esplicito alla necessità di estendere anche alle imprese digitali, e soprattutto ai social network, regole e responsabilità per i contenuti messi in rete. Vincoli che oggi gravano solo sugli editori tradizionali.
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