Oggi i più giovani rischiano di non sapere nemmeno cosa sia. Ma c’è stato un tempo in cui ai malati di lebbra veniva impedito qualsiasi contatto sociale e gli infetti erano degli emarginati, dal momento che tra le poche certezze c’era la modalità di trasmissione del patogeno: legata a un contatto diretto e prolungato con una persona infetta. D’altra parte la malattia, dalla fine del Medioevo al ventesimo secolo, ha rappresentato una sciagura pure in Europa. La giornata mondiale che si celebra oggi 26 gennaio vale più come un richiamo alla memoria, almeno nel nostro Paese. I lebbrosari – le strutture in cui venivano confinati i malati di lebbra, nota anche come morbo di Hansen – non esistono più e la malattia è ormai facilmente curabile.
Una malattia «scabrosa»
La lebbra è una malattia infettiva di origine batterica. A provocarla è il Mycobacterium leprae, un microrganismo simile a quello che provoca la tubercolosi che, oltre che nell’uomo, può trovarsi negli armadilli, in alcuni primati e nel suolo. Ma perché i lebbrosi sono sempre stati temuti più per il loro aspetto che per le ripercussioni in sé della malattia? Perché la lebbra provoca segni fisici evidenti e deformità – dal momento che l’infezione può colpire i nervi periferici – anche molto invalidanti. E l’etimologia del nome stesso della malattia – lepròs in greco voleva dire scabroso – dà l’esatta misura della considerazione di cui potevano godere i malati nel Medioevo.
La lebbra può verificarsi a qualsiasi età, anche se la maggior parte degli esordi si registrano nel corso della terza decade di vita. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i nuovi casi annui non superano più delle trecentomila unità. Mentre in tutto il Pianeta sarebbero tra uno e due milioni le persone che portano sul proprio corpo i segni della malattia. La maggior parte vive nei Paesi tropicali e subtropicali: in particolare India, America Latina e Africa.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità punta a «cancellarla» entro il 2020
Obiettivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è quello di eliminare la lebbra come problema di sanità pubblica globale per il 2020. La strategia si basa sulla possibilità di assicurare un elevato standard di cura a tutte le latitudini, sull’individuazione precoce dei nuovi casi e sull’accesso tempestivo alla (polichemio) terapia, che negli ultimi quarant’anni ha cambiato in maniera decisa il decorso della malattia. Negli ultimi anni, in Italia, i nuovi casi non hanno mai raggiunto le venti unità. Ma si tratta quasi sempre di diagnosi di importazione: dall’America Latina (Brasile in particolare) e Africa (Senegal e Nigeria). L’ultimo episodio autoctono risale infatti al 2002.
La Stampa