Dal 3 gennaio arriva la Mifid2: 7mila pagine di norme, 2 miliardi di spese per adeguarsi. Più attenzione alla profilazione dei clienti e alla valutazione della loro capacità di assorbire le perdite, trasparenza sui costi e le commissioni. E le autorità potranno bloccare gli strumenti pericolosi
Dopo i mutui subprime e le obbligazioni subordinate di Banca Etruria&Co., l’industria del risparmio prova a fare la pace con i suoi clienti attraverso la promessa di maggiore trasparenza e di non indurre i piccoli investitori in tentazioni sproporzionate alla loro capacità di rischiare. Dal 3 gennaio entra in vigore la Mifid2, aggiornamento della “disciplina sui servizi di investimento”, affiancata da un nuovo regolamento sulla “condotta in materia di servizi di investimento” (definizioni Abi).
Come suggerisce la stessa sigla, la Market in Financial Instruments Directive di marca europea giunge così alla seconda edizione. Che la prima abbia funzionato alla perfezione non si direbbe, solo sfogliando l’album delle memorie delle recenti crisi bancarie e dei risparmiatori che vi sono rimasti intrappolati. L’auspicio del comparto è che il salto di qualità arrivi con le nuove norme e i maggiori poteri alle autorità per contrastare i collocamenti illegittimi di prodotti troppo rischiosi per i portafogli nei quali vanno a finire.
Quello della proporzione tra propensione al rischio dei clienti e adeguatezza degli investimenti è solo uno dei tasti sui quali batte la sterminata normativa. Bloomberg conteggia di 7mila pagine di regole, includendo le appendici varie: ce ne sarebbe a sufficienza per scrivere cinque o sei Guerra e Pace. Le banche e gli asset manager hanno speso 2 miliardi di dollari, in Europa, per prepararsi alla nuova normativa. Ecco in sintesi le principali novità previste.
Tutela dei risparmiatori
Come ricordavano i servi Bilancio di Camera e Senato preparando la normativa, già in base alle disposizioni della prima Mifid, banche e affini sono tenute a profilare i clienti per conoscenze, esperienze e obiettivi di investimento. Con la Mifid2 la norma viene integrata, “sia perché nel definire gli strumenti finanziari adeguati al cliente si fa esplicito riferimento alla necessità di individuare la capacità dello stesso di fronteggiare eventuali perdite e la sua predisposizione al rischio, sia in quanto, nel caso in cui l’impresa raccomandi una pluralità di prodotti o servizi, la valutazione di adeguatezza deve avvenire in relazione all’intero pacchetto”. Sale dunque il livello d’attenzione nel compilare il famoso questionario sulle proprie conoscenze e aspettative legate agli investimenti, con l’auspicio che anche agli sportelli ci sia maggiore trasparenza nel somministrarlo.
Trasparenza delle spese
La norma allarga gli obblighi di comunicazione alla clientela su costi e oneri connessi ai servizi di investimento o accessori: deve esser chiaro quanto si sborsa per consulenza, strumento finanziario in sé, ingresso o uscita dagli investimenti e modalità di pagamento dei servizi di investimento ricevuti. E deve esser altresì chiaro quanto questi costi incidono sul rendimento offerto, in modo che si abbia una idea più vicina possibile al guadagno “netto” che si prospetta. Le informazioni circa le voci di costo devono essere poi presentate in forma aggregata, per consentire al cliente di conoscere il costo complessivo. L’aggiornamento deve essere continuo: costi e commissioni, ricorda l’Abi in una guida fresca di stampa, devono essere mostrati “con un calcolo puntuale o con una stima ben fatta, sia prima della sottoscrizione sia nel corso dell’investimento, di solito a fine anno”.
Il costo della consulenza
Come hanno recentemente sottolineato da lavoce.info, non si spezza del tutto il meccanismo talvolta distorto di remunerazione dei consulenti che propongono l’investimento. Questi si dovranno infatti presentare come “indipendenti” o legati a produttori di strumenti finanziari. Nel primo caso, saranno pagati attraverso una commissione che viene fatturata direttamente al cliente. Nel secondo, invece, restano in piedi le “retrocessioni”, ovvero lo scaricare il costo della figura professionale nell’ambito dei costi per il collocamento dei prodotti. E’ vero che i prospetti dovrebbero esser più chiari su questo punto, dicono gli esperti, ma forse una maggiore incisività sarebbe stata auspicabile.
La pagella dei rischi: arriva il documento semplificato
Dopo le polemiche per il mancato utilizzo degli scenari probabilistici che descrivessero le prospettive per gli investimenti sottoscritti, arriva una specie di pagella che sintetizza il grado di rischio dello strumento finanziario offerto. Semplifica, dice l’Associazione delle banche, soprattutto la comprensione e il confronto dei prodotti di investimento complessi, quali, a esempio, i prodotti strutturati, i fondi comuni di investimento alternativi, le polizze di investimento assicurative, i derivati. Il documento (che si chiama KID) riporta le caratteristiche chiave sul prodotto, il livello di rischio valutato in una scala da 1 a 7, il rendimento in base a diversi scenari del mercato, il costo totale e dettagliato e l’incidenza del costo e delle commissioni sul rendimento. Il tutto armonizzato a livello europeo.
Chi paga la ricerca
Nell’industria finanziaria ha fatto molto discutere il fatto che le ricerche utilizzate dai gestori di fondi per prendere le loro decisioni (paginate di grafici e analisi su come si muoverà questo o quel titolo, o come un’elezione potrà cambiare il corso delle valute e via dicendo) diventeranno a pagamento. Il passo dovrebbe servire a separare con maggior decisione l’attività di analisi da quella di trading, che ha dato vita a non poche distorsioni. E’ evidente che produrre documenti in grado di muovere i mercati ed essere insieme un operatore pesante sul mercato fa scattare il campanello d’allarme del conflitto di interessi. D’ora in avanti, i costi per la ricerca dovranno essere scorporati da quelli per i servizi di brokeraggio offerti. La previsione di Bloomberg è che i costi delle ricerche saranno bassi e che qualche analista rischierà il posto.
Dark Pool
Una buona fetta degli scambi avviene fuori dai mercati tradizionali, soprattutto quando si tratta di singoli ordini dai valori ingenti. Per i regolatori questa fetta è diventata troppo grande: Mifid2 pone un limite. Solo l’8% dei volumi di un titolo possono esser scambiati nelle cosiddette “dark pool”.
Autorità
Gli intermediari saranno portati a tener traccia molto più sistematica di quel che fanno, per permettere alle Autorità finanziarie di intervenire con maggiore tempestività e ricostruire quel che accade sui mercati con più velocità e precisione. Per quel che concerne il rapporto con i risparmiatori, ancora l’Abi ricorda che le Autorità di controllo europee (come l’Esma) o nazionali (nel nostro caso, Consob e Banca d’Italia) possono sospendere la vendita di alcuni strumenti finanziari se li ritengono una minaccia per la protezione degli investitori. Se preso alla lettera, non ci saranno più scusanti sulla scarsa incisività degli strumenti di controllo a disposizione della Vigilanza che è stata più volte richiamata nella recente Commissione parlamentare d’inchiesta sulle crisi bancarie.
Repubblica.it