C’erano esponenti della P2 dietro i tentativi di delegittimazione del vertice dell’Eni avvenuti tra il 1992 e il 1998. Franco Bernabè, amministratore delegato del gruppo petrolifero durante l’inchiesta “mani pulite”, parla per la prima volta in pubblico del “tentativo del sistema affaristico massonico che aveva avuto per tanti anni il controllo dell’Eni” di rimettere le grinfie sulla società. E ne parla a Firenze durante la recente commemorazione di Leonardo Maugeri, che Bernabè aveva assunto come suo assistente e che in seguito sarà promosso responsabile dell’ufficio studi e della pianificazione strategica e successivamente presidente delle attività chimiche dell’Eni.
Il discorso commemorativo di Bernabè ruota intorno a un documento che all’epoca era circolato in modo anonimo nelle redazioni dei giornali, anche se si sapeva che proveniva dall’unità di crisi informale che il numero uno dell’Eni aveva costituito per collaborare con la Procura di Milano e per monitorare le reazioni del mondo politico. Ora Bernabè svela che quel documento fu preparato nel 1998 da Maugeri e che “avrebbe dovuto essere la traccia per un libro che lui avrebbe dovuto scrivere”, ma che non vide mai la luce. “La curiosità e la capacità di Leonardo di riconnettere personaggi e fatti fu estremamente preziosa” e permise di ricomporre “un quadro di interpretazione estremamente interessante”: quello di un’impresa la cui storia è intrecciata con le più torbide vicende italiane, dal finanziamento ai partiti allo scandalo Petromin, dalle infiltrazioni della loggia massonica segreta Propaganda 2 ai collegamenti con le cosiddette P3 e P4.
La P2 di Licio Gelli aveva radici profonde nell’Eni. Risultarono tesserati alla superloggia l’ex presidente Giorgio Mazzanti, l’ex vicepresidente Leonardo Di Donna, l’ex presidente della Sofid (la banca interna dell’Eni) Renato Marnetto, l’ex collaboratore di Eugenio Cefis Gioacchino Albanese e l’ex esponente socialdemocratico della giunta esecutiva, Carlo Castagnoli. Appartenevano alla loggia segreta anche tutti coloro che ebbero un ruolo nello scandalo Eni-Petromin. E furono i depositi di liquidità dell’Eni ad allungare la vita alle consociate estere dell’Ambrosiano, la banca della P2 presieduta da Roberto Calvi. Con i minori interessi percepiti dall’Eni su quei depositi, Calvi costituì la provvista per pagare al Psi di Bettino Craxi la tangente sul conto Protezione.
Scrive Bernabè: “Il sistema creato per finanziare illecitamente i partiti aveva avuto per molti anni il suo centro operativo nella struttura finanziaria dell’Eni…A partire dal 1982, anche in seguito ai cambiamenti avvenuti…con l’arrivo di Franco Reviglio, il sistema era emigrato in una struttura svizzera gestita da Francesco Pacini Battaglia, la Banca Karfinco, che aveva proseguito in modo diverso ma con la stessa efficacia l’attività precedente”.
Questo sistema massonico piduista lavorò sotto traccia per cercare di impedire il ricambio manageriale che era stato intrapreso da Bernabè dopo gli arresti del presidente dell’Eni Gabriele Cagliari (successore di Reviglio) e dei capi delle maggiori società operative del gruppo, accusati di avere incassato tangenti. “Tre anni dopo – scrive il manager – emerse con tutta evidenza che quel gruppo di potere vedeva nella mia presenza all’Eni un ostacolo insormontabile alla continuazione del sistema affaristico che esisteva prima della mia nomina nel 1992 e cercava in tutti i modi di eliminarmi”.
Gli attacchi contro Bernabè si intensificarono nella primavera 1994: “Il polo di centro destra aveva vinto le elezioni generali e si avviava ad occupare tutti i posti di potere disponibili, a partire ovviamente dal più interessante che era rappresentato dall’Eni…Vari esponenti della maggioranza iniziarono allora un tentativo di destabilizzazione attraverso interviste, interrogazioni e tentativi di aggressione giudiziaria…Il momento non era tra i più facili. Oltre a gestire un processo di trasformazione dell’Eni che aveva portato in poco tempo a risultati estremamente importanti dovevo difendermi dai continui attacchi che provenivano da quel sistema affaristico legato alla massoneria”.
Il gruppo e il suo top manager finirono sotto il tiro incrociato di ex piduisti che stavano riciclandosi nel governo e nelle istituzioni grazie al clima favorevole del primo governo Berlusconi. Bernabè ne elenca i nomi: l’allora ministro dei Trasporti Publio Fiori (un ex democristiano passato ad Alleanza nazionale), il medesimo Gioacchino Albanese (divenuto nel frattempo suo consigliere) e il generale della Guardia di finanza Sergio Acciai. Proprio le Fiamme Gialle – ricorda Bernabè nel suo discorso – avevano confezionato “un rapporto basato su congetture e illazioni che aveva come unica finalità quello di coinvolgermi in fatti di natura penale. Un rapporto che al successivo esame da parte dei pm si dimostrerà del tutto privo di riscontri…A questa strategia contribuisce attivamente anche Luigi Bisignani, anch’egli della P2”, che sarà condannato in via definitiva a due anni e sei mesi per aver partecipato al riciclaggio della maxitangente Enimont.
Le intercettazioni della magistratura misero in luce “l’esistenza di forti pressioni da parte di più ambienti su Lamberto Dini, allora Presidente del Consiglio, per sostituirmi. Dini attribuisce la volontà di sostituirmi ad un impegno preso con Silvio Berlusconi. Ma il 1° aprile 1996, in vista delle elezioni del 21 aprile che saranno perse dal centrodestra, Dini sospende le nomine. Dopo una breve interruzione, agli inizi del governo Prodi, la campagna riprende con più intensità, nell’ottobre dello stesso anno”. Il mese precedente erano stati arrestati dalla Procura di La Spezia Pacini Battaglia e il presidente delle Ferrovie Lorenzo Necci (un ex Eni): una vicenda che dimostrò come il sistema dei fondi neri scoperto nell’Eni era diffuso e utilizzato dalle stesse persone nei principali gangli dell’industria e dell’amministrazione dello Stato.
Pochi giorni dopo gli arresti, “sorprendentemente il Tg4 e ‘Studio aperto’ insinuano che l’inchiesta del pool ‘mani pulite’ sia stata pilotata per favorire me”, scrive Bernabè. E “ancora una volta la fonte delle affermazioni è un gruppo della Guardia di finanza…, le cui insinuazioni contro il pool di Milano vengono violentemente attaccate da Piercamillo Davigo. L’attacco contro di me parte in coincidenza con una mia visita al procuratore Carla Del Ponte in Svizzera, alla quale avevo messo a disposizione i documenti necessari a chiedere il sequestro dei conti della Banca di Pacini Battaglia intestati a dirigenti dell’Eni”.
La campagna massonica contro Bernabè proseguì fino al 1998, con l’avvio da parte della Procura di Perugia di “una minuziosa indagine per ricostruire la storia del rapporto tra l’Eni e il pool di Milano”, e cessò nel novembre di quell’anno con la sua nomina ad amministratore delegato di Telecom Italia. Il suo successore, Vittorio Mincato, continuò l’opera di ricambio manageriale e di aumento della capacità estrattiva dell’Eni intrapresa da Bernabè. Finché un nuovo governo Berlusconi non consegnerà la guida del gruppo a Paolo Scaroni. Che farà di Luigi Bisignani il suo principale consigliere.
Giuseppe Oddo, Business Insider Italia