Una giornata di digiuno e di sciopero dei giornalisti di Famiglia Cristiana, voce storica della società e della Chiesa italiana, per salvare la testata e lanciare un «drammatico grido d’aiuto». È la decisione, presa all’unanimità, per la giornata di giovedì 14 dicembre, dall’assemblea dei giornalisti della Periodici San Paolo, che pubblica le testate Famiglia Cristiana, Credere, Jesus e Il Giornalino. «Purtroppo – si legge nel documento approvato all’unanimità -, l’autorevolezza e la qualità delle nostre riviste sono sempre più minacciate da una politica aziendale miope e di corto respiro che considera tutti i lavoratori, giornalisti e impiegati, soltanto una riga di costo del bilancio mortificandone la dignità professionale». Dopo quasi tre mesi di trattative, infruttuose, tra l’Editore e il Comitato di Redazione sul rinnovo degli accordi integrativi aziendali disdettati unilateralmente dall’azienda nel giugno scorso «siamo costretti, nostro malgrado, a questo gesto simbolico che non ha precedenti nella quasi centenaria storia di Famiglia Cristiana».
«Con questo digiuno – spiegano i giornalisti della Periodici San Paolo – vogliamo esprimere tutta la nostra preoccupazione per il futuro delle testate e dei nostri posti di lavoro e per denunciare l’accentramento di tutti i poteri e le funzioni nelle mani di una sola persona». Inoltre, «vogliamo denunciare con sgomento che l’azienda non ha alcuna idea seria e credibile di futuro, rappresentata dall’assenza di un piano industriale degno di questo nome, se non quella di tagliare lo stipendio dei giornalisti e impiegati imponendo solo tagli, sacrifici e umiliazioni. L’azienda non può chiedere ai giornalisti la collaborazione per lanciare nuovi prodotti editoriali senza metterli nelle condizioni di poter svolgere il proprio lavoro».
Con questo digiuno, proseguono, «vogliamo dire no alla logica del ricatto da parte dell’azienda che vuole continuare ad agire, in maniera indiscriminata, sul taglio degli stipendi dei giornalisti e degli impiegati chiedendo un impegno di lavoro quasi triplicato». Di questo passo, «fra qualche mese, anche percepire lo stipendio diventerà agli occhi dei vertici aziendali un odioso privilegio da estirpare in nome della crisi». I giornalisti della San Paolo respingono «con forza il pregiudizio aziendale che ci considera dei privilegiati e degli irresponsabili dopo quattro anni di ammortizzatori sociali: solidarietà e cassa integrazione» (vicedirettori «costretti a dimettersi o collocati in cassa integrazione a zero ore»; un’intera redazione «costretta a subire una pesantissima decurtazione dello stipendio per evitare il licenziamento di sette colleghi alla vigilia del Natale 2015»; per gli impiegati non giornalisti cassa integrazione fino al 50, 70 e anche 100%, con casi di persone «messe letteralmente alla porta»).
Con questo digiuno, concludono, «vogliamo gridare tutta la nostra indignazione perché, a causa dell’atteggiamento di questa dirigenza, è venuto meno lo spirito di collaborazione tra credenti laici e consacrati sancito dal Concilio Vaticano II» e che «fino a qualche anno fa, pur nella diversità di vedute, è stato vissuto con successo» nella Periodici San Paolo.
La Stampa