Indagine Ocse-Pisa: i nostri giovani apprezzano a parole la collaborazione ma non sanno metterla in pratica come fa la maggiorparte dei coetanei degli altri Paesi industrializzati. Meglio le ragazze, gap fra regioni
Gli studenti italiani apprezzano a parole il lavoro di squadra, ma non lo sanno mettere in pratica, come invece la maggior parte dei coetanei degli altri Paesi industrializzati. L’ultima indagine Ocse-Pisa, che di prassi si occupa di verificare le qualità matematiche, di studio delle scienze e le capacità di lettura dei ragazzi in età scolare, per la prima volta si è focalizzata sul “collaborative problem solving” dei quindicenni (frequentanti, in Italia, la seconda superiore).
Analizzando le competenze degli studenti in varie fasi della loro vita scolastica, Ocse Education conclude che nella capacità di ogni studente di interagire con altri, “condividendo sforzi e conoscenze per raggiungere la soluzione”, l’Italia è nella parte bassa della graduatoria, ventiseiesima (su 32 Paesi analizzati) con 478 punti. La Ocse è di 500 punti e i vertici, con 561 punti, li raggiunge Singapore. Con l’inserimento di venti Paesi partner, l’Italia scende al 31° posto.
L’importanza del “collaborative problem solving”, sottolinea l’Ocse, non si limita alla scuola. E’ la vita di ogni giorno che richiede agli individui di collaborare. In termini di occupazione sono sempre più numerosi i posti di lavoro che richiedono un alto livello di competenze sociali, mentre diminuiscono i lavori in cui bastano livelli bassi. Il non sapere, o non riuscire, a lavorare in gruppo a 15 anni può essere un problema, tanto quanto lo sono le basse competenze nelle materie di studio.
Tuttavia, i quindicenni italiani dicono di valutare il lavoro di squadra più della media Ocse: il 71 per cento sostiene di preferire l’impegno in team rispetto a quello individuale (media 67 per cento), l’88 per cento apprezza la collaborazione con i coetanei, oltre il 90 riferisce di essere contento di ascoltare differenti prospettive (il quarto dato più alto nell’Ocse) e l’85 per cento si definisce un buon ascoltatore e dice di essere contento dei successi dei compagni di classe. Sembrano le premesse per un buon gioco di squadra. Invece, gli studenti italiani – con una performance vicina a quelle di Federazione russa, Croazia e Ungheria – raggiungono risultati peggiori di quando si esprimono in Matematica, Scienze e lettura, abbiamo visto inferiori alla media internazionale.
Solo uno studente italiano su 25 (il 4 per cento) raggiunge il livello 4 nelle soluzioni collaborative (media Ocse 8 per cento). Questi, veri e propri leader, sono studenti in grado di eseguire mansioni avanzate in problemi complessi che richiedono una collaborazione complessa, ragazzi consapevoli delle dinamiche di gruppo e capaci di prendere iniziative o fare richieste per superare ostacoli e risolvere disaccordi. Il 35 per cento degli esaminati è sotto il livello 2 (media Ocse 28 per cento): quindicenni, questi, in grado di portare a termine compiti di bassa complessità sia nel problema che nella collaborazione richiesta.
Come già accade per le competenze nelle materie di studio, l’Italia si distingue per i netti divari tra le singole scuole, all’interno di uno stesso istituto e tra le regioni, che anche nel “collaborative problem solving” sono più ampi della media Ocse. Gli studenti di Bolzano viaggiano a 512 punti, migliori anche dei coetanei svedesi. Brillano pure i ragazzi trentini (500 punti) e i lombardi (498), mentre i quindicenni della Campania (443) sono a fondo classifica. Le ragazze superano di 23 punti (489) i maschi. Le studentesse danno maggiore valore alle relazioni e sono più generose nell’apprezzare i successi dei compagni di classe, mentre i ragazzi danno maggiore valore al lavoro di squadra e ai suoi benefici.
Come altrove nell’Ocse, in Italia gli studenti di ambito socio-economico avvantaggiato vanno meglio nel “problem solving” dei coetanei svantaggiati, ma la differenza riguarda solo l’aspetto della collaborazione ed è inferiore alla media. I ragazzi immigrati raggiungono risultati migliori dei compagni di classe “italiani e figli di italiani” negli aspetti collaborativi e, soprattutto, gli immigrati di prima generazione valutano i benefici del lavoro di squadra più degli altri. Tra le tante variabili che influiscono nel fare gruppo ci sono il clima della scuola, le relazioni con i compagni, i professori e i genitori, ma i risultati dipendono anche da come i ragazzi passano il tempo libero. I videogiochi fanno perdere sei punti nella capacità di “collaborative problem solving” agli studenti che li utilizzano rispetto a quelli che li evitano. Internet, le chat e i social migliorano le capacità di collaborazione.
Corrado Zunino, Repubblica.it