Le polemiche sulle interferenze russe nelle elezioni americane e più in generale nella politica di altri paesi stanno portando all’attenzione dell’opinione pubblica l’efficacia dei social network e delle fake news nella manipolazione dell’opinione pubblica. Che le grandi potenze usino tutti gli strumenti in loro possesso per condizionare la politica dei paesi avversari non è una novità: lo si è sempre fatto ed è ridicolo che qualcuno si atteggi a verginella. La novità sembra essere la manipolazione intensiva e strutturata del mondo digitale: fake news, social network, siti di propaganda, hacker, sembrano garantire interessanti risultati rispetto agli investimenti necessari.
Ma quello che sembra destinato a essere la bomba atomica nelle ciber war è l’uso dei big data. Facciamo tutti fatica a renderci conto del valore enorme che stanno acquistando le informazioni che lasciamo in rete, nella maggior parte dei casi senza preoccuparci troppo dell’utilizzo che può esserne fatto. Per i professionisti del marketing sono una miniera d’oro: consentono infatti di inviare messaggi mirati a ciascun potenziale cliente senza disperdere energie in «bombardamenti a tappeto».
Non è un caso se gli over the top, cioè le multinazionali dell’hi-tech, hanno drenato gran parte degli investimenti pubblicitari che, fino a qualche anno fa, si riversavano su giornali e televisioni. Probabilmente siamo solo agli inizi, perché c’è ancora molto lavoro da fare per migliorare la qualità dei dati che vengono utilizzati e il modo in cui vengono impiegati. Ma non c’è dubbio che in campo commerciale l’uso dei big data sarà sempre più massiccio e sofisticato.
Ancora di più nella politica internazionale, dove le ciber war sostituiranno almeno in parte le guerre combattute sul campo. Ma anche nella politica interna. Dove vincerà chi meglio saprà indirizzare messaggi mirati ai potenziali elettori. Nei paesi occidentali, ormai, le elezioni si vincono e si perdono per un pugno di voti. Molti di meno di quelli che riesce a spostare un uso intelligente dei big data. Chi è in grado di conoscere i gusti, le preoccupazioni, le ansie, le nevrosi del singolo elettore può anche fargli arrivare informazioni in grado di modificarne la percezione della realtà e carpirne il consenso. Siamo all’ultima fermata della democrazia?
Marino Longoni, ItaliaOggi