A San Siro svanisce il sogno azzurro: il fortino scandinavo regge, dopo 60 anni stiamo a casa
Chiamatela come volete. Apocalisse, tragedia, catastrofe: l’Italia è fuori dal Mondiale di Russia 2018.
Per la seconda volta nella storia non ci siamo qualificati alla Coppa del mondo. L’altra volta, nel 1958 fu l’Irlanda del Nord a farci disfare le valigie che tutti davano in maniera scontata già per fatte. Allora mancammo l’appuntamento all’edizione svedese, stavolta scherzo del destino è la stessa Svezia a sfilarci di mano un biglietto che non si capisce per quale motivo pensavamo ci fosse dovuto. Di sicuro non per la storia recente che racconta di una Nazionale eliminata al primo turno in Sudafrica e in Brasile, cioè nelle ultime edizioni. Ci siamo fermati al trionfo di Berlino 2006 perché il declino tecnico, ma anche politico, è stato inesorabile. Abbiamo toccato il fondo. E forse a questo punto non tutti i mali vengono per nuocere. Il Ct Ventura sull’orlo delle dimissioni dopo due mesi in piena confusione: lo spogliatoio, ma anche la Federazione, non l’hanno più seguito dalla sconfitta in Spagna, o quanto meno hanno fatto fatica a capirlo dopo un anno di lavoro, e quando lo spettro del playoff è diventato reale. Inevitabile l’addio all’allenatore, ma anche Tavecchio sarà oggetto di una profonda riflessione che coinvolgerà i vertici dello sport italiano e anche della politica.
Resta a casa una Nazionale che non ha saputo neppure cavalcare l’onda dei settantatremila di San Siro che hanno toccato con mano la pochezza azzurra di fronte a una Svezia che, nonostante la evidente inferiorità tecnica, nei centottanta minuti è stata almeno più organizzata di un’Italia spenta. Non solo nel freddo di Stoccolma, ma anche a San Siro. Finisce con le lacrime di Buffon che saluta l’azzurro dopo venti anni: dalla neve di Mosca al gelo di Milano. Le scuse ai tifosi sono un commiato sbagliato perché avrebbe meritato un altro finale.
Un sinistro presagio invece i fischi a Ventura alla lettura delle formazioni. Stonati quelli all’inno svedese che sempre Buffon aveva provato a zittire battendo le mani e scuotendo la testa. Rimedieranno in parte gli applausi a Johansson che esce quasi subito in barella.
A quel punto San Siro è già una bolgia trascinata dall’Inno di Mameli. Va per la maggiore «avete solo l’Ikea», ma la Svezia in campo ha anche organizzazione, un bel catenaccio, per nascondere gli evidenti limiti tecnici. Le novità assolute Jorginho e Gabbiadini danno una mano a Ventura, che però raccoglie poco nonostante l’Italia assedi l’area svedese. L’occasione migliore è di Immobile ma Olsen in uscita gli smorza il tiro e Granqvist salva a pochi centimetri dalla porta. Anche Florenzi, terzo cambio rispetto a Stoccolma, è pericoloso in una partita che l’arbitro Mateu Lahoz tiene a bada con i cartellini gialli, ma si lava le mani su quello che succede in area: dal contatto su Parolo ai mani di Darmian e Chiellini. Con il Var sarebbero stati rigori. Comunque all’intervallo l’Italia meriterebbe il vantaggio anche solo per il cuore. Dopo due occasioni di Florenzi e Chiellini suona la carica Bonucci gettando via la maschera. E’ un segnale anche per Ventura dentro El Shaarawy e Belotti per Gabbiadini e Darmian. E’ il rischiatutto, al quale la Svezia partecipa provando anche a farsi gol da sola, traversa. L’Italia vede il baratro avvicinarsi pericolosamente, ma non c’è spazio per Insigne: dentro Bernardeschi. Con il bianconero il ct rinnega definitivamente se stesso. Il muro giallo resiste come un sortilegio. Ma è giusto così: se in centottanta minuti non riesci a fare un gol alla Svezia non puoi andare al Mondiale. Fatti fuori con le nostre armi: difesa, contropiede e anche un po’ di catenaccio e per assurdo dopo tanti anni senza Ibra. Ventura al capolinea entra nella storia nel modo sbagliato, senza il coraggio di presentarsi alla tv, al contrario di Buffon, capitano fino in fondo. Apocalisse, tragedia, catastrofe. Chiamatela come volete.
Davide Pisoni, Il Giornale.it