E’ confortante leggere i risultati del Monitoraggio per la rappresentazione della figura femminile nella programmazione Rai, realizzato da Isimm Ricerche e Università Roma Tre presentati ieri al Senato durante il convegno Donne, ragazze, bambine in tv: buone pratiche e criticità sui teleschermi italiani, promosso dal gruppo di Articolo 1 – Movimento democratico e progressista. Sì perché, cifre alla mano, qualche passo avanti è stato fatto rispetto alla rappresentazione femminile nella tv pubblica. Il monitoraggio, condotto nel 2016 su 700 programmi Rai di ogni genere, racconta che le donne al 51% sono rappresentate per le loro capacità professionali o perché protagoniste o testimoni di una storia di vita. Un bel salto culturale. Anche se nel 23,6% dei casi resiste ancora lo stereotipo, soprattutto nel cinema e nella fiction di produzione Rai. Purtroppo si conta ancora un 21% di casi di violazione della dignità femminile: 13,7% considerati leggeri, 5,4% significativi e 1,9% gravi. La motivazione è tutta tra appartenenza di genere (ovvero le donne vengono derise o umiliate in quanto donne, 38,%), oggettivazione sessuale e condotta sessuale (28,6% e 27,9%). “Cause” che per gli uomini, tutte insieme, non toccano il 30%.
Il tema della violenza di genere è stato affrontato nel 2016 in quasi il 12% delle trasmissioni (11,9%). Soprattutto gli spazi di cinema (3,3%), fiction e informazione (2,1%). Nel 65% dei casi il responsabile è stato indicato nel contesto familiare della vittima, in linea con il 68% dei dati Eurispes 2015. Nel 49,4% il frame, ovvero la cornice in cui si inserisce il delitto, è “di genere”, testimoniando, dicono i professori di Roma Tre, Elisa Giomi ed Enrico Menduni, “che in tv una nuova sensibilità sta maturando”. Certo rimane quel 38,6%, e non è poco, in cui si prosegue ancora a parlare di aberrazione individuale, cercando motivazioni tra “raptus”, “depressione” o “incapacità di accettare una rottura”. Ma i margini per migliorare ci sono anche qui.
“L’Isimm ha messo a punto per noi anche un prontuario su cui facciamo formazione – ha detto il vicedirettore marketing Rai, Giovanni Scatassa -, siamo aperti a ogni controllo e sollecitazione”.
La presenza femminile, invece, è ancora molto sottostimata. A dimostrazione che le quote tanto vituperate sarebbero invece necessarie in Italia. Nei programmi Rai (a tutti i livelli) le donne sono però appena un terzo degli uomini (37,8% contro 62,2%). Percentuale che si impenna fino al 90% se l’argomento è bellezza o sex appeal (contro il 10% degli uomini) ma scende al 25% se si parla di persone di potere.
“Se diciamo il governante pensiamo a un uomo che governa, al contrario la governante ci fa venire in mente una donna che gestisce una casa. Il linguaggio che usiamo è importante – dice Maria Cecilia Guerra, capogruppo di Articolo 1 – Mdp al Senato – e riflette la realtà sociale ma al tempo stesso la produce. Per questo ci deve essere grande attenzione”.
Pina Debbi, vicedirettrice de La7, chiede ai colleghi di assumersi “le proprie responsabilità”. Cita come esempio la presidente della Camera Laura Boldrini e il dileggio cui è stata sottoposta per l’uso dei termini al femminile: “Questo è inaccettabile”. E poi lancia il sasso nello stagno: “Di donne stuprate ce ne sono undici al giorno in Italia, noi abbiamo parlato esclusivamente di Rimini e dei carabinieri. Perché?”
Corriere della Sera