di Cesare Lanza
Di sé diceva: «Sono depresso come tutti gli intellettuali». Famoso per le «picconate», di un solo argomento evitò sempre di parlare: l’annullamento del suo matrimonio
Francesco Cossiga mi diede una delle più grandi soddisfazioni della mia carriera. All’inizio degli anni Novanta dirigevo, a Torino, un piccolo giornale: la Gazzetta del Piemonte. Cossiga, presidente della Repubblica, venne a Torino in visita ufficiale e scelse di inserire il mio gazzettino, un pigmeo, tra le visite ufficiali, snobbando il gigante nel territorio, La Stampa. Il retroscena è semplice: La Stampa era uno dei grandi giornali che gli rompevano le scatole ogni giorno. Insinuando che fosse fuori di testa e pretendendone le dimissioni. Al contrario, un paio di anni prima, alla guida della Notte, avevo scritto un articolo a suo sostegno: non vi annoierò perché il titolo dice tutto, «Uno, due, dieci, cento, mille Cossiga»: cioè, altro che attaccarlo, magari, ce ne fossero tanti altri di uomini come lui, in Italia. E nacque così un rapporto piacevole, amichevole (anche se amicizia è una parola grossa…), di rispetto e stima. Sommessamente vorrei ricordare a chi legge che i personaggi della cosiddetta Prima Repubblica, che racconto in questa rassegna, sono stati protagonisti di libri importanti e continueranno a esserlo. Mentre in queste paginate io mi limito ai ricordi di incontri personali e di quanto so, per conoscenza diretta. Finora ho scritto di Bettino Craxi e Amintore Fanfani, di Marco Pannella e Sandro Pertini… Cossiga è il più indecifrabile di tutti. I suoi contestatori lo bollavano come «Kossiga» nelle scritte sui muri e nei cartelli delle manifestazioni. Come ho già detto, gran parte della stampa italiana si esercitava quotidianamente, in linea con i partiti più importanti, democristiani e comunisti, a stuzzicarlo, criticarlo, auspicando o addirittura esigendo che lasciasse il Quirinale. Una volta, un cronista gli chiese, evocando la triste vicenda di Giovanni Leone, che fu indotto a dimettersi da presidente della Repubblica sotto le pressioni scandalistiche e le minanacce di giornali e politici: «Se fossero venuti da lei gli emissari di Dc e Pci, per invitarla a sloggiare, come avrebbe reagito?». La risposta fu una battuta diretta, abrasiva: «Avrei chiamato i carabinieri!». Cossiga aveva spina dorsale e idee chiare: diede anche a me questa risposta quando, più o meno, gli rivolsi la stessa domanda. Mi piaceva perché era diretto, spontaneo. Mai ipocrita. Se qualcosa non gli piaceva, se non condivideva, te lo diceva in faccia. Oppure stava zitto, ma non cadeva mai in quegli intrugli di linguaggio, falsi e ambigui, che caratterizzano i potenti di ieri come quelli di oggi, desiderosi di farsi accettare. Una volta era in compagnia di Melania Rizzoli, per una manifestazione elettorale, a Roma, quartiere Centocelle. In un mercatino un pescivendolo gli chiese con insistenza un autografo, m a Cossiga non aveva a portata di mano pezzo di carta: col pennarello scrisse il suo nome su una spigola. Gli piaceva andare dritto al punto: quando cominciarono a chiamarlo il Picconatore, prese a telefonare ai (pochissimi) direttori o giornalisti di cui si fidava e li avvertiva: «Attenzione, occhio! Oggi piccono, eh?». Non m i piace essere celebrativo, verso nessuno: tutti abbiamo i nostri lati oscuri e nascondiamo qualcosa in cuore. Cossiga, forse, più di altri. Nei primi anni al Quirinale, fu riservato, discreto, silenzioso. Poi cominciò a picconare furiosamente, a destra e sinistra. Perché? La mia opinione fu, da subito, che quello era il modo più perfido ed efficace per difendersi, dalle melliflue offensive. Suscitando chiasso, polemiche. Ma c’è anche un’altra spiegazione, psicologica. In parole povere, era bipolare: a momenti grande entusiasmo, energia e luminosità, si alternavano fasi di acuta depressione. Nei primi anni presidenziali, questa caratteristica della sua personalità era ignorata, quando cominciò a manifestarsi ci fu addirittura chi, privatamente e in pubblico, arrivò a insinuare che fosse pazzo. E Cossiga, di fronte agli attacchi, non di rado ruvidi e volgari, si galvanizzava: la lotta gli piaceva. E alla depressione era affezionato. «Si, sono depresso: come la maggior parte degli intellettuali». Di più: con irritazione e ironia rivelò un retroscena fastidioso. Ci fu chi si spinse a dire e scrivere che in occasione di un viaggio in Romania era ricorso segretamente a un elettroshock per uscire dalla, presunta, instabile condizione mentale. Anche questo mi colpiva: la superiorità, il disinvolto approccio – snob – con cui parlava tranquillamente di episodi che abitualmente si considerano imbarazzanti. Un tabù però c’era: il rapporto con la moglie, Giuseppa Sigurani, detta Peppa. Se ne sa poco. Anch’io non ho mai osato chiedergli nulla, per altro non avevo possibili pretesti. Ma un certo mistero c’era. Era noto che il presidente non gradisse parlar e di questo argomento e, in genere, della sua vita privata. Francesco e Peppa si erano sposati nel 1960, lui aveva 32 anni. Poi separati nel 1993, divorziati nel 1998, infine l’ annullamento da parte della Rota, comunemente chiamata Sacra Rota: come sia stato possibile che il Vaticano abbia concesso addirittura la cancellazione delle nozze, 47 anni dopo il legame (per di più con due figli, Anna Maria e Giuseppe), ecco, questo fa parte del mistero, forse ormai inaccessibile. Si sa solo che la signora Sigurani non volle mai insediarsi al Quirinale, con la stessa encomiabile riservatezza dimostrata da Carla Voltolina, moglie di Sandro Pertini, il presidente che aveva preceduto Cossiga in quel palazzo. Ma i rapporti tra Francesco e Peppa erano già in frantumi quando lui fu eletto alla massima carica dello Stato, mentre il legame tra Pertini e la moglie durò fino alla morte. Solo una volta, in una breve intervista, Cossiga parlò della consorte, ormai ex, e la elogiò senza mezzi termini: «Bellissima, bravissima, perfetta nell’educare i figli». Se sapeva, quando voleva, essere riservato e impenetrabile, Francesco aveva però anche tratti di ingenua vanità, quanto meno adolescenziale, se non infantile. Era orgoglioso della sua appartenenza al mondo dei giornali, con un tesserino da pubblicista. Così come gli piaceva raccontare come, nel 1948, quando la paura dell’avvento del comunismo era molto forte, alla vigilia delle elezioni era munitissimo di armi, non solo per la sua difesa, ma anche per proteggere molti amici democristiani: pistole, mitragliatrici, perfino bombe a mano… La Dc vinse poi le elezioni.
Piaceva molto alle donne, per il suo carattere schietto, curioso, confidenziale. E per l’eleganza. A Cortina, dove trascorreva le vacanze, ancora lo ricordano con i pantaloni alla zuava, la camicia a scacchi, gli scarponcini: impeccabile, ineccepibile. Si dice che la sua prima ragazza fu un’austriaca, Erika: Cossiga, presumibilmente un po’ imbranato, la condusse in chiesa a recitare un rosario e forse fu per questo motivo che e la giovinetta, aspettandosi da un italian latin lover ben altra attenzione, si eclissò immediatamente. Negli anni del potere politico fu corteggiatissimo e non nascondeva la simpatia e l’ammirazione che aveva per il gentil sesso. Era misurato e garbato, ma qualche volta (memorabile il fraintendimento sul rapporto con Federica Sciarelli, famosa in tivù) alcune allusioni scattarono i pettegolezzi della stampa, non solo rosa. Con me, in privato, non ci furono mai battute e mezze parole. Considero fondate le indiscrezioni su un duraturo legame con un’attrice televisiva, poco nota. Sorvolo su misteri più pesanti e su episodi clamorosi: non saprei cosa aggiungere a quanto si sa. Gladio, ad esempio… La furia con cui Cossiga ne difese la legittimità, arrivando a minacciare l’invio delle forze dell’ordine a una riunione del Consiglio superiore della magistratura. E l’incidente ferroviario, il deragliamento del Milano-Roma il 12 gennaio del 1997, all’altezza di Piacenza? Otto morti. Cossiga, ch’era a bordo, restò illeso. Stento a credere alla casualità dell’incidente. E poi i legami con la massoneria, il suo amore per la tecnologia e la formidabile competenza, tra l’altro aveva 30 telefonini non intercettabili. E tutte le accuse, e insinuazioni, sulle numerose stragi accadute in Italia, per una vera o presumibile sua conoscenza dei fatti, dei retroscena, dei colpevoli? Cossiga disse una volta che aveva tenuto un diario nei giorni del rapimento di Aldo Moro e non escludeva di pubblicarlo, un giorno. Quel giorno non è mai arrivato e se c’erano segreti Cossiga (Sassari 1928 – Roma 2010) li h a portati con sé nella tomba. Preferisco dunque ricordare il «mio» Cossiga così: Moro fu ritrovato morto assassinato dalle Brigate rosse – e Francesco era ministro dell’Interno. Per la responsabilità oggettiva del suo ruolo, prontamente si dimise. E questa è una valenza morale che, oggi, non esiste più.
Cesare Lanza, La Verità