Due sentenze della Corte di giustizia europea contro le regole seguite da governo e Agcom
Il passaggio della tv italiana dall’analogico al digitale, a partire dal 2009, è avvenuto seguendo delibere e leggi contrarie al diritto dell’Unione Europea. Non solo, anche il metodo di redistribuzione delle frequenze è stato bacchettato dalla Ue perché a rischio di essere incompatibile con la normativa comunitaria. Metodo che ha di sicuro svantaggiato alcuni operatori del mercato. Così si è espressa con due sentenze rese note ieri (c-560/15 e c-112/16) la Corte di giustizia Ue, a cui ha rinviato in via pregiudiziale il Consiglio di Stato italiano dopo i ricorsi rispettivi, da una parte, di Europa Way (Europa 7) e Persidera (jv Telecom Italia+Gedi) contro Agcom e, dall’altra parte, la sola Persidera contro ministero dello sviluppo economico e Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni). In particolare, nel primo ricorso con cui le due società chiedevano l’annullamento della gara onerosa per l’assegnazione delle frequenze supplementari (dividendo digitale), secondo la Corte di giustizia Ue, il ministero per lo sviluppo economico e il legislatore italiano non erano competenti, ai sensi del diritto dell’Unione, a sospendere e ad annullare il beauty contest (gara non onerosa, ndr) indetto dall’Agcom. Sia il ministero sia il legislatore hanno influito sul corso del procedimento dall’esterno e sulla scorta di mere considerazioni di natura politica, a giudizio dei giudici europei, violando in questo modo l’indipendenza dell’Autorità (che aveva inizialmente previsto il beauty contest). Peraltro, visto che con l’avvio della gara onerosa veniva ridotto a 3 da 5 il numero dei nuovi multiplex digitali da assegnare, la Corte invita ora il giudice nazionale a verificare se agli operatori preesistenti sia stato attributo un numero di radiofrequenze superiore a quello strettamente necessario alla continuità dei loro programmi. Se così fosse, il numero di radiofrequenze attribuite ai preesistenti operatori andrebbe diminuito e messo a disposizione dei nuovi operatori, quindi del dividendo digitale. Per quanto riguarda invece la seconda sentenza, a fronte del ricorso della sola Persidera che contesta il meccanismo di conversione con cui le è stata assegnata una sola frequenza in cambio delle due analogiche già in portafoglio, la Corte di giustizia Ue parte dal riferimento del Consiglio di stato italiano al fatto che alcuni canali analogici erano utilizzati in violazione delle regole della concorrenza (Rai3 e Rete4). E di conseguenza afferma che, se questo fosse il reale scenario, l’attuale redistribuzione delle frequenze digitali sarebbe incompatibile con il diritto dell’Unione.
In aggiunta, i giudici hanno stabilito che il metodo di conversione ha in concreto svantaggiato Persidera che, diversamente dai due grandi operatori Rai e Mediaset, diffondeva fino a quel momento non tre bensì due canali analogici. Rai e Mediaset hanno infatti beneficiato di un tasso di conversione pari al 66,67% mentre Persidera ha avuto un tasso di conversione al 50%. Discriminazione che, sempre secondo i giudici, può essere giustificata solo se questo metodo costituisce l’unico modo possibile per perseguire obiettivi legittimi di interesse generale.
Ma siccome la Corte di giustizia Ue non risolve le controversie nazionali ma invita solamente i giudici nazionali a farlo seguendo le sue indicazioni, adesso spetta ai tribunali italiani non solo controllare che non sia stato superiore alle esigenze del sistema il numero di frequenze assegnate agli operatori preesistenti ma anche di verificare se l’assegnazione di un unico multiplex digitale a ciascuno dei due maggiori operatori non sarebbe già stata sufficiente a consentire a Rai e Mediaset la prosecuzione della loro offerta televisiva.
Italia Oggi