Quattordici arresti, uno anche in Comune per una tangente. Amministrazione giudiziaria per quattro delle direzioni generali italiane della multinazionale tedesca. Sotto tutela dei magistrati le società che sorvegliano il Tribunale
Il pool antimafia milanese commissaria le società di sorveglianza privata del Tribunale di Milano con i loro 600 lavoratori, assume la gestione della multinazionale tedesca della grande distribuzione Lidl in quattro delle dieci direzioni generali italiane da cui dipendono 214 supermercati e 4 centri logistici in 6 regioni, ed entra al Comune di Milano per una corruzione del 2017 su un appalto scolastico: tre mondi apparentemente eterogenei, che invece in comune – stando ai 14 arresti ordinati questa mattina dal Gup Giulio Fanales in una inchiesta del procuratore aggiunto Ilda Boccassini e del pm Paolo Storari – avrebbero l’ombra del clan mafioso dei Laudani di Catania.
Fatture false e soldi al clan
A produrre infatti reati tributari, per creare le provviste di denaro portato in contanti in Sicilia in almeno otto viaggi per il sostentamento della famiglia mafiosa e in particolare dei detenuti del clan Laudani, erano due gruppi di loro referenti al Nord, titolari di consorzi di cooperative nel settore della logistica e della vigilanza privata, alle quali la Lidl Italia ha appaltato commesse (per gli allestimenti e la logistica dei punti vendita) sia al Nord sia in Sicilia, seppure con una differenza: e cioè che, mentre al Sud l’aggiudicazione degli appalti nei supermercati avveniva attraverso il versamento di denaro al clan Laudani (che poi procurava le commesse presso Lidl con modalità che l’indagine al momento non ha chiarito), al Nord (specie in Piemonte) le commesse erano invece ottenute pagando tangenti private a taluni ex funzionari o a responsabili in carica di filiali della (ignara) casa madre Lidl.
Tre interventi
Il primo, fra i tre tipi di intervento operati oggi dalla Squadra Mobile della Questura di Milano e dalla Guardia di Finanza di Varese, è il più usuale e ha determinato l’arresto di 14 persone (11 in carcere e 3 ai domiciliari) non per mafia ma per reati tutti con l’”aggravante della finalità di favorire Cosa Nostra”: associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari, appropriazione indebita, ricettazione, riciclaggio, traffico di influenze, intestazione fittizia di beni. In particolare agli arresti sono finiti cinque imprenditori: da un lato il trio che controlla il gruppo consortile Sigi Facilities da 14 milioni di fatturato nel 2014 (poi Sicilog srl) e che viene indicato come riferimento al Nord della cosca catanese, e cioè Luigi Alecci a Bollate (tre condanne definitive per omicidio nel 1988, estorsione nel 1982 e traffico di droga nel 2005), Giacomo Politi a Meda e Emanuele Micelotta a Milano, monitorati in periodiche consegne di denaro in Sicilia a due “cassieri” del clan, Salvatore Orazio Di Mauro e (dopo il suo arresto nel 2016) Enrico Borzì; dall’altro lato due fratelli con una quindicina di srl in rapporti e in intrecci societari con il primo gruppo, Nicola e Alessandro Fazio, le cui società oltre a lavorare pure con Lidl si sono ad esempio aggiudicate il contratto con il Comune di Milano per la sorveglianza del Tribunale di Milano. Agli arresti (invece domiciliari) anche l’attuale responsabile degli allestimenti dei supermercati Lidl, Simone Suriano.
Al supermercato
Il secondo intervento giudiziario, meno ordinario ma già sperimentato ad esempio nei mesi scorsi sulla Fiera di Milano spa per i rapporti con fornitori in quel caso espressione della famiglia mafiosa siciliana di Pietraperzia, riguarda il colosso mondiale dei supermercati Lidl (10.000 punti vendita in 26 nazioni) e ha indotto la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano ad accogliere la richiesta dei pm di ordinare per 6 mesi l’”amministrazione giudiziaria” di quattro direzioni generali Lidl: Volpiano (base torinese per 51 filiali in Piemonte, Valle d’Aosta e parte di Liguria), Biandrate (base novarese per 68 filiali in Piemonte e Lombardia), Somaglia (base lodigiana per 62 filiali in Lombardia e parte dell’Emilia Romagna), e Misterbianco, base catanese per 33 filiali in Sicilia e 8 a Malta, oltre che per la nuova piattaforma logistica, una delle più grandi della galassia Lidl con i suoi 44.000 metri quadrati di superficie. Lidl non è indagata come società, né opera in modo illecito, ma – secondo i magistrati che utilizzano questo istituto previsto dal secondo comma dell’articolo 34 del decreto legislativo n. 159/2011 – la carenza di controlli interni ha fatto sì che l’attività imprenditoriale finisse per colposamente agevolare esponenti mafiosi. La finalità dell’”amministrazione giudiziaria” decisa dal presidente Fabio Roia e dai giudici Veronica Tallarida e Ilario Pontani non è infatti reprimere ma prevenire, cioè contrastare la contaminazione mafiosa di imprese sane, sottoponendole a controllo giudiziario appunto per sottrarle all’infiltrazione criminale e restituirle il più rapidamente possibile al libero mercato una volta depurate dagli elementi inquinanti. I pm Boccassini e Storari usarono questo schema già nel 2011 per la filiale lombarda di Tnt-Traco le cui spedizioni erano veicolate da furgoni di ‘ndrangheta, e l’ignara casa madre olandese alla fine dell’istituto ringraziò pubblicamente la magistratura milanese per gli effetti positivi.
In tribunale
Il terzo tipo di intervento giudiziario, forse il più delicato, sta invece affrontando stamattina il problema degli effetti istituzionali (sulla sorveglianza del Tribunale) e occupazionale (sui 600 dipendenti) della scoperta della riconducibilità di queste società di vigilantes a personaggi ritenuti referenti al Nord del clan Laudani di Catania: in questo caso, proprio per salvare i posti di lavoro la scelta della Procura, nell’attivare la legge 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle società per reati commessi dai propri vertici nell’interesse aziendale, è quella non di chiedere di far scattare la misura interdittiva (cioè lo stop ai rapporti con la pubblica amministrazione, che rischierebbe di avere l’effetto indiretto di “uccidere” le aziende e l’occupazione), ma di domandare al gip la misura del commissariamento delle aziende, in modo che l’affiancamento del controllo giudiziario (in un bilanciamento tra efficacia e minore invasività) possa far proseguire l’esecuzione del contratto di sorveglianza del Tribunale e conservare i relativi posti di lavoro. Le società interessate dal provvedimento sono Securpolice Group, Securpolice srl, Securpolice Servizi Fiduciari srl, Securpolice Servizi srl e Ibi Service srl. Il presidente (da due mesi) del Consiglio di Amministrazione di Securpolice Group, l’ex colonnello della GdF Mario Ortello, in un comunicato esprime “piena fiducia nell’operato della polizia giudiziaria e della magistratura: il gruppo Securpolice conferma la propria disponibilità verso gli inquirenti per fornire ogni elemento utile a chiarire circostanze e fatti che vedono, a vario titolo, coinvolte alcune sue società”.
In Comune
C’è infine anche un versante amministrativo che si affaccia tra le carte, e che ruota intorno alla figura di un ex dipendente della Provincia di Milano, Domenico Palmieri, con una lunga esperienza nella pubblica amministrazione: per i pm, che gli contestano il reato di traffico di influenze, sarebbe stato lui (in cambio di mille euro al mese) a mettere a disposizione dei referenti del clan Laudani al Nord una serie di rapporti con esponenti di amministrazioni pubbliche. E sempre lui, in particolare, avrebbe intermediato il contatto con una dirigente del Comune di Milano, Giovanna Afrone, che oggi è stata posta agli arresti domiciliari per una ipotizzata corruzione fresca di quest’anno, in un appalto del settore scolastico: la responsabile del Servizio Gestione Contratti Trasversali con convenzioni centrali di committenza è infatti accusata di aver promesso a Palmieri di affidare alle imprese di Micelotta (cioè di uno dei ritenuti referenti del clan catanese) i singoli appalti delle pulizie delle scuole (sotto soglia dei 40.000 euro di valore) a fronte dell’impegno di Palmieri di farle ottenere un posto di lavoro presso il settore bilancio della Provincia di Milano e il trasferimento della cugina al settore informatico del Comune di Milano. Palmieri (al pari di Elia Orazio, ex collaboratore esterno del Consiglio regionale della Lombardia) è indagato per traffico di influenze per aver messo a disposizione dei terminali milanesi dei Laudani alcuni propri contatti con esponenti politici (non indagati) quali il consigliere comunale milanese Franco D’Alfonso (ex assessore al Commercio e Turismo con il sindaco Pisapia, e oggi in Commissione Bilanci), il sindaco di Assago, Graziano Musella, e il consigliere comunale a Cinisello Balsamo, Angelo Antonio Di Lauro.
Fughe di notizie
Nelle pieghe degli atti emerge che l’indagine ne ha dovute schivare molte. Tanto che adesso il gip Fanales arriva ad accennare esplicitamente all’esistenza di “informatori in possesso di dati pubblici riservati”, e fa alcuni esempi: “La persona che ha modo di rivelare, ad uno degli indagati, quanto appreso visionando direttamente il fascicolo dell’indagine sul tavolo di lavoro del procuratore aggiunto llda Boccassini; il capitano della Guardia di Finanza precedentemente impegnato nel compimento di atti relativi alla verifica fiscale nei confronti di un indagato; il maresciallo della Guardia di Finanza di Lissone, confidente della moglie di un indagato. Un informatore risulta, invece, compiutamente identificato”, aggiunge il gip, che scrive il nome anche se non assume provvedimenti, così come non ne risultano assunti dai pm: si tratta di un tenente colonnello della GdF di Como.
Nota della Lidl
Lidl Italia, che come detto non è indagata, in una nota “si dichiara completamente estranea. L’Azienda, che è venuta a conoscenza della vicenda in data odierna da parte degli organi inquirenti, si è resa da subito a completa disposizione delle autorità competenti, al fine di agevolare le indagini e fare chiarezza quanto prima sull’accaduto”
di Luigi Ferrarella, Il Corriere della Sera