Sampo Terho, tra i massimi rappresentanti della destra radicale, mette sul tavolo un referendum per lasciare l’Unione e sganciarsi dalla moneta unica. Il supporto a Bruxelles tra la popolazione è alto, ma le ferite della lunga crisi giocano a suo favore
L’uscita della Finlandia dall’Eurozona è possibile e persino probabile nel futuro, anche se magari è questione di lunghi anni o di decenni. Lo ha detto Sampo Terho, uno dei massimi dirigenti del partito di nuova destra radicale ed euroscettica Peerussuomalaiset (i veri finlandesi), junior partner del governo di centrodestra guidato dal premier-imprenditore Juha Sipila. Con la sua sortita, Terho ha rafforzato apparentemente le sue chances di vincere nella lotta al vertice per la guida del partito, contro il vicepremier e leader storico (ora ministro degli Esteri) Timo Soini. Terho non è il solo nei ranghi dei Perussuomalaiset a chiedere un “Fixit“, cioè mimando verbalmente “Brexit” un’uscita finlandese dalla moneta unica. Lo chiede anche uno dei piú temibili tra i suoi sfidanti alla guida del partito, il falco Jussi Halla-Aho.
Secondo segnale negativo per l’euro in pochi giorni, dopo l’annuncio recente della Cèchia di sganciarsi dalla parità fissa tra corona ceca ed euro, e in contemporanea con le elezioni francesi. Terho ha usato argomenti che in apparenza possono essere convincenti da un punto di vista economico. Finché resteremo agganciati all’euro, egli ha detto, sarà difficile mantenere la nostra competitività economica. “L’unica via per appoggiare la nostra competitività è una svalutazione interna, e lo abbiamo già fatto”. Svalutazione interna vuol dire tagli a retribuzioni e spese, misure non certo stimolanti per la congiuntura. Infatti la Finlandia, unico paese della Comunità nordica (gli altri sono Svezia, Norvegia, Danimarca, Islanda) a essere nell’Eurozona, è anche il paese nordico che affronta le maggiori difficoltà economiche e sociali, tra crescita debolissima dopo anni di recessione, disoccupazione ben piú alta che nel resto del Nord, tensioni sociali. “L’opzione alternativa, guardando al 2020, al 2030 o al 2040”, egli ha aggiunto, “è il ritorno alla valuta nazionale; se cominciamo a pensarci con ampio respiro e a lungo termine, senza fretta, può essere fattibile”.
Terho ha aggiunto di essere a favore della convocazione di un referendum nazionale pro o contro la permanenza nell´Unione europea stessa, referendum di cui a sua opinione si dovrebbe discutere nel corso della campagna per le prossime elezioni parlamentari, fissate per il 2019. Secondo le indagini di opinione 68 elettori finlandesi su cento sono a favore della permanenza nella Ue. Non sono a disposizione risultati di sondaggi pro o contro l’euro.
La sortita di Terho è comunque indicativa di umori esasperati dalle difficoltà economiche e sociali. “Certe forze politiche propongono sempre soluzioni facili ma poi impraticabili a problemi difficili”, ha commentato spesso il governatore della Suomen Pankki (Banca di Finlandia) Erkki Liikanen, membro del Direttorio della Banca centrale europea. Liikanen sa benissimo che, euro o no, il sistema Finlandia è in crisi, proprio in quest’anno in cui il paese festeggia i suoi primi cento anni di indipendenza, per fattori strutturali. Non ha la forte struttura industriale e tecnologica svedese, nemmeno la creatività danese, né quella del Petrostato Norvegia che si riconverte con successo alla ecoeconomia, nemmeno quella della piccola Islanda salvatasi da sola dalla crisi del 2008-2009 riciclandosi con ecoeconomia pesca e turismo. In Finlandia sono entrati in crisi da tempo, e non per colpa dell’euro, i comparti economici portanti. Come ci spiegò tempo fa Alexander Stubb, forse il più professionale tra i politici liberalconservatori ed europeisti di Helsinki, con poche dure parole: “La crisi dei media cartacei ha ucciso le mega-cartiere finlandesi, e gli smartphones hanno ucciso Nokia“. Difficile credere davvero che uscire dalla moneta unica serva come terapia contro simili mali strutturali. E poi, se davvero la Finlandia uscirà dall’euro, i suoi cittadini continueranno a pagare per forza in euro mutui casa, crediti per acquisto auto, ogni altro debito. Lo stesso discorso vale per il debito sovrano, proprio mentre la politica minacciosa di Putin e gli accresciuti problemi sociali impongono aumenti di spese per la difesa e il welfare.
Andrea Tarquini, La Repubblica