Parlare di duopolio è perfino riduttivo. Infatti, come si può definire un mercato, quello della pubblicità digitale su Internet e sui telefonini, dominato, al 68 e al 92% rispettivamente, da due soli player, e per di più stranieri, come Google e Facebook? Per i pubblicitari, ma anche per gli editori francesi, è una situazione al limite della guerra commerciale. «Non è più accettabile che Google e Facebook crescano in questo modo ipertrofico gettando un’ombra sul futuro dell’industria europea della comunicazione», protesta uno dei personaggi più potenti del reseau pubblicitario nazionale, Sophie Poncin, la direttrice di Orange Advertising France, la donna che gestisce i budget miliardari del primo operatore telefonico, da qualche mese alla guida dell’organizzazione professionale delle aziende producono contenuti, il Sri, Syndacat des régies internet, che raggruppa tutta l’editoria francese, da Altice Media di Patrick Drahi al gruppo Lagardère ai tedeschi di Prisma Presse fino agli italiani di Mondadori France, e che ha per obiettivo quello di «assurer la professionalisation et le devéloppement de la publicité digitale en France», cioè a dire, presidiare e di proteggere il mercato.
Missione quanto mai urgente e sempre più complicata, visto che solo nel 2016 il mercato dell’adv digitale è cresciuto del 7% (un punto in più rispetto al 2015) arrivando a 3,4 miliardi di euro e superando, per la prima volta, gli investimenti televisivi (29,6% su Internet contro il 28,1% sui canali tv). Certo, si tratta di una percentuale ancora inferiore alla quota digitale di Paesi come la Cina (che ha superato il 51%), la Gran Bretagna (al 46,8%) e gli Stati Uniti (al 30,5%), ma ormai allineata ai trend internazionali secondo cui la quota Internet si stabilizzerà nel breve intorno al 40%. A prima vista, questi dati sembrano confermare la crescita e la modernizzazione del mercato pubblicitario francese: «Il est bon de voir que la France n’est plus à la traine», non siamo più al traino, si compiace, infatti, Jean-Luc Cetric, il presidente dell’Udecam, l’Union des entreprises de conseil et d’achat des médias, l’altra lobby professionale delle agenzie e dei centri media, da Carat a Zenith.
Peccato che la fetta più grande di questa torta miliardaria vada a finire solo su due piatti, quelli di Google e di Facebook. Sri e Udecam si sono già mossi e hanno chiesto a una società di ricerca, la Pricewaterhouse Cooper, di misurare l’egemonia economica dei due colossi. Da soli Facebook e Google intercettano il 68% della pubblicità digitale con una crescita doppia rispetto al mercato (il 12%) a danno di tutti gli altri siti e delle altre piattaforme che, nello stesso periodo (il 2016), perdono il 3%. Come idrovore potentissime Facebok e Google hanno aspirato i nuovi budget fino all’ultimo centesimo grazie a un’audience stimata in 44 milioni di utenti, il 98% degli internauti francesi. Ancora più preoccupante la situazione nel segmento mobile, la pubblicità sui display dei telefonini. Qui il numero degli utenti Facebook e Google arriva a 42 milioni d’internauti (il 95% dei possessori di uno smartphone) e questo consente ai due giganti di prendersi il 92% del mercato.
Ma come si fa a contrastare i due mastodonti? Una prima risposta (avanzata in questi giorni da Sri e Udecam, ma anche dall’Uda, l’Upa francese) è l’obbligo di un «label qualité», un bollino blu che certifichi, sulla base di controlli affidati ad autorità e agenzie terze, l’affidabilità (verrebbe da dire: la rispettabilità editoriale) dei siti che ospitano la pubblicità. I professionisti della comunicazione hanno individuato cinque criteri per avere il «label qualitè»: l’esperienza (cioè la storia professionale del sito che non dovrà accettare pubblicità invasive), la capacità di gestire e controllare i dati degli utenti nel rispetto delle leggi e delle normative delle Autorità sulla privacy e sulla concorrenza, la «Brand Safety» (vale a dire: niente pubblicità sui siti violenti e pornografici), la lotta alle frodi internet (gli annunci cliccati dai robot non da veri lettori-consumatori: tema caldissimo come si può immaginare) e, infine, una distinzione ferrea tra annunci e contenuti pubblicitari. E in più, si capisce, la certificazione dei dati di audience a cui Google e Facebook si sono sempre opposti. Ma basterà un «label qualité» a fermare l’appetito dei due giganti?
Giuseppe Corsentino, ItaliaOggi