L’olandese “numero due” di Jean-Claude Juncker alla Commissione Ue: «Regole da rispettare Ma con l’Italia troveremo intese su bilancio e migranti»
Il verdetto di Davos è chiaro. Trump, Putin e Xi Jinping sono i mazzieri del nuovo Grande Gioco della politica e dell’economia internazionale, mentre l’Europa rischia d’essere schiacciata. E’ preoccupato, presidente? «Al contrario vedo molte opportunità per l’Unione», risponde veloce Frans Timmermans, l’olandese “numero due” di Jean-Claude Juncker alla Commissione Ue. La sua analisi è puntuale: pensa che la presidenza Trump potrebbe essere diversa da ciò immaginiamo, vede delle chance nella svolta globalista cinese, promette all’Italia aiuto sui migranti e comprensione per il debito: «Noi dobbiamo far rispettare le regole, ma sono certo che troveremo un’intesa».
I più, qui al World Economic Forum, danno l’Ue per spacciata.
Siete spacciati?
«Ero più pessimista due anni fa. La crescita torna, anche se non è forte come vorremmo; la disoccupazione cala; i conti pubblici vanno nella direzione giusta. Il potenziale è più grande di quanto siamo capaci di riconoscere. Dobbiamo costruire su questo, consapevoli che il pessimismo paralizza, come la nostalgia e il parlare dell’Europa che era invece di quella che potrebbe essere».
Ci si può fidare dei cinesi?
«Non sono naif. So bene che vedono la possibilità che l’America liberi uno spazio sullo scacchiere della politica mondiale e intendono occuparlo. Dobbiamo capire cosa vogliono davvero e ingaggiare un discorso. Ci sono molte possibili cooperazioni, a partire dal Clima. Se qualcuno può spingere avanti gli accordi di Parigi sono europei e cinesi».
Allarmato per Trump “no global”?
«I toni dei tweet del presidente eletto sono diversi da quelli usati dai prescelti per l’amministrazione nelle audizioni al Congresso. Vediamo quale sarà la linea a prevalere. I designati sono apparsi d più sulla linea tradizionale della politica estera americana. Comunque vada, per citare Angela Merkel, l’importante è che l’Europa prenda tenga il proprio futuro nelle sue mani».
Dal punto di vista industriale è dura. La Cina minaccia settori strategici come acciaio, vetro e ceramica.
«Loro sanno, come noi, che la quarta rivoluzione industriale impone di rimodellare le economie. E sono consapevoli che in un ambiente aperto ai commerci hanno più opportunità di successo. la Il libero scambio è una buona notizia per tutti, anche per noi».
Come li persuade i cittadini che hanno fatto festa per lo stop al Ttip, l’accordo commerciale con gli usa?
«Li puoi solo convincere con i risultati. Il Ceta, l’intesa che abbiamo chiuso con il Canada, può essere di aiuto, allenterà almeno una parte delle paure. Così come i patti ce possiamo stringere con il Giappone e le economie asiatiche».
Intanto c’è chi dice trova nella Brexit un esempio da emulare. In Italia il M5S sogna un referendum per uscire dall’euro.
«L’effetto paradossale della Brexit è che ora Le Pen e Grillo non parlano di lasciare l’Ue, ma l’Eurozona. Se Grillo fosse serio sull’uscire dall’Ue non avrebbe pensato di unirsi all’Alde. In questo, s’è dimostrato piuttosto “flessibile”».
Sta dicendo che la difficoltà dell’eurodivorzio è un deterrente per gli altri?
«Posso solo dire che dopo il voto britannica, a Bratislava, i ventisette hanno accettato un forte impegno comune a restare insieme. E’ permanente? Penso di sì, ma sarà il tempo a dirlo».
Gli europei sono arrabbiati.
«Per due decenni abbiamo parlato dell’Europa usando solo la testa, mentre i nazionalisti parlano con il cuore. Dovremmo farlo anche noi. Abbiamo ucciso le persone con le presentazioni Powerpoint. E non abbiamo spiegato perché, data la storia comune, il futuro è migliore se si sta insieme».
Sul fronte delle migrazioni l’Europa sta fallendo. Che succede?
«In Italia e Grecia è diffusa la convinzione che gli altri non stiano rispettando gli impegni di accoglienza, perché la redistribuzione è stata troppo lenta. Nel nord, soprattutto in Germania, si pensa invece che l’Italia lasci passare i migranti. Sono entrambi echi del passato, diversi da ciò che accade oggi».
E allora?
«Se non facciamo qualcosa di rapido sulla rotta mediterranea, i flussi verso la Sicilia riprenderanno a crescere. Sono diventati insostenibili. Dobbiamo considerare il problema come “europeo”, non “italiano”. Dobbiamo ridurre i flussi. E’ una responsabilità molto seria di tutti nei confronti dei cittadini italiani».
Come?
«Investendo nei paesi di transito e di origine, siglando intese per agevolare i rimpatri e con una migliore protezione dei sconfini. La maggioranza di quanti arrivano in Italia non hanno diritto all’asilo, va rispediti da dove sono venuti. Con urgenza. Il premier Gentiloni si è spiegato bene. La Commissione è dalla sua parte. Credo che al vertice di febbraio ci saranno dei concreti passi avanti»
A proposito di Italia. Vale la pena di litigare per una correzione da 0,2% di pil del disavanzo?
«Sono questioni che toccano il cuore delle politiche nazionali. Non biasimo un governo che combatte una simile battaglia. Però la Commissione ha la responsabilità di far applicare le regole decise da tutti gli stati, Italia compresa. Se questo porta a una frizione, non è il caso di essere allarmati. Sinora, Roma e Bruxelles hanno sempre avuto un approccio costruttivo. Il presidente Juncker è l’uomo delle soluzioni, non credo che andrà differentemente dal passato. Allo stesso tempo, il ministro Padoan ha preso degli impegni chiari: sono certo che vorrà rispettarli».
Il problema dell’economia globale è che le diseguaglianze stanno aumentando.
«E’ una questione molto seria. Sino a un certo punto il ceto medio ha avuto modo di credere in un futuro migliore. Ora non ha più questa certezza. Le differenze con i ceti più alti sono cresciuti in modo esponenziale. Le diseguaglianze sono una realtà. Così si genera una solidarietà al contrario. Invece che aiutare i più deboli, i cittadini di mezzo temono di essere risucchiati dal basso e cercano i più poveri lontani. La risposta sta nell’istruzione e la formazione, dei giovani e permanente. Sennò si resta nella situazione che i nazionalisti adorano. Parlano alle pance e alimentano il rifiuto dell’altro. Mostrano la diversità come fonte di minaccia, mentre – secondo me – è ragione di forza e di crescita. Così minano la nostra società e il contratto sociale su cui essa è basata».
di Marco Zatterini, La Stampa