di Cesare Lanza
Scommettiamo che i bambini, se educati a conoscerli, si divertirebbero molto con i semplici giochi di una volta? Vi racconto ciò che mi è successo a Natale. Avevo preparato un gran bel libro di fiabe, le più popolari, era meravigliosamente illustrato, per un bambino, figlio di parenti acquisiti. Appena ha aperto il pacchetto, il frugoletto (non ridete, così si diceva una volta) ha scaraventato il libro per terra, strillando: «Non mi piace, non lo voglio! ». I genitori, neanche imbarazzati, mi hanno detto (al pupo neanche una sgridatina): «Sai, è abituato ai giochi elettronici…». Chissà perché mi sono venuti in mente tutti i giochi semplici e stupendi che ci rendevano felici nei cortili, nel tempo che fu. A parte quelli infiniti con la palla e con le biglie, ad esempio quelli che facevamo disegnando per terra percorsi con il gesso: uno per tutti il Giro d’Italia con i tappi delle birre. E poi l’acchiapparella, nascondino, un due tre stella, battimuro, la campana, il tiro alla fune, i quattro cantoni… Potrei elencarne cento. Non sono un pazzo furiosamente nostalgico. Ma ammetto una certa diffidenza per i giochi elettronici, quelli che impazzano sui computer e i telefonini. Spingono al consumismo compulsivo. Si fanno in solitudine. Propongono aggressività e violenza.
Avrei voluto dire a quei genitori: provate, a leggergliela, una fiaba, sfogliando il libro e spiegandogli le illustrazioni. La sera, quando va a letto: scommetto che si addormenterà beato. Se vinco, leggetegli una fiaba ogni sera. Se perdo, per una sera (una sola però) mi rimbambirò con l’elettronica, cercando di cancellare i miei ricordi.
Cesare Lanza, La Verità