Con l’accordo per diminuire la produzione, i prezzi del barile sono visti in risalita verso 60 dollari. Ma in questo modo tornano a recitare una parte importante i produttori di shale americano, finora messi all’angolo dal calo-greggio
Far salire il prezzo del petrolio, senza resuscitare i produttori americani dello shale: è questa la missione impossibile del 2017 per il cartello dell’Opec, reduce da un accordo storico sui tagli alla produzione che ha ridato ossigeno alle quotazioni del greggio. Come hanno da subito notato molti analisti, e mette a fuoco oggi l’agenzia finanziaria Bloomberg, il rischio è che una ripresa dei prezzi possa permettere ai produttori che usano la complicata tecnologia americana di riaffacciarsi sul mercato: i costi di produzione più elevati li avevano di fatto esclusi dallo scacchiere del petrolio nei mesi scorsi. Ma un loro rinnovato entusiasmo potrebbe di fatto azzerare i benefici del taglio disposto dall’Opec stessa.
L’agenzia americana ricorda che il boom dello shale è stato tra i motivi scatenanti di quell’eccesso di produzione che ha portato al collasso dei prezzi dall’estate del 2014, amplificato poi dalla scelta Opec di non tagliare la produzione per difendere le sue quote di mercato. Sta di fatto che da oltre 100 dollari, in poco tempo si è scesi ampiamente sotto i 30 dollari. Ora, dopo l’accordo del cartello, la media dei prezzi del 2017 è vista intorno a 58 dollari al barile: “I produttori dell’Opec hanno bisogno di un rialzo dei prezzi, visto che i loro bilanci pubblici sono messi sotto stress dal calo” del greggio ha annotato Ed Morse di Citigroup. “Ma la questione vera dovrebbe spostarsi su cosa accadrà dopo: quanto in fretta tornerà sulla scena lo shale gas americano?”.
Con 8,8 milioni di barili pompati al giorno, gli Usa sono già quasi ai livelli di produzione di due anni fa, anche se soltanto con un terzo dei pozzi attivi rispetto al picco. Da maggio, sono rinati 200 punti di estrazione, proprio per agire di anticipo quando iniziarono a circolare le notizie circa una possibile intesa in seno al cartello.
Secondo gli analisti, alcune minacce al disegno dell’OPec potrebbero venire dall’interno (la Nigeria e la Libia sono state esentate dai tagli perché i conflitti ne hanno azzoppato il potenziale estrattivo, ci sono dubbi sulla reale posizione della Russia che ha aderito da fuori, l’Iran parimenti è esentato …). Ma anche e soprattutto dalle decine di produttori americani che hanno saputo tenere duro durante la grande crisi dei prezzi, efficientando i loro processi. Ci sono già dei segnali in tal senso: secondo Citigroup, un altro balzo dei prezzi di una decina di dollari (dai 50 attuali) potrebbe far aggiungere 500mila barili al giorno di produzione ai signori dello shale, che sono già ora a 4,5 milioni di barili. Secondo Macquarie, basterebbe ancora un po’ di risalita per far crescere la produzione shale di 1 milione di barili, offuscando di fatto da sola l’entità del taglio scelto dall’Opec.
La Repubblica