Le confidenze dell’entourage del premier: sarà varato un nuovo governo con una maggioranza più ampia
Dopo settimane di allarme rosso, dalle parti di Palazzo Chigi torna a circolare un certo ottimismo: la partita del referendum si sta rivelando molto più aperta di quel che sembrava.
«La gente sta cambiando idea, quando vede il merito della riforma, sono decisamente ottimista», dice Matteo Renzi.
Ciò non toglie che, naturalmente, tutte le possibili conclusioni siano ancora in campo, e che si stiano studiando piani per ogni possibile conclusione: sconfitta, vittoria, e anche pareggio, se il risultato delle urne venisse assegnato per un’incollatura. C’è una novità per il post-referendum, ed è che esiste già un canovaccio di possibile legge elettorale post-Italicum (dalla sentenza della Corte Costituzionale non ci si attende nulla di buono). E, a sorpresa, c’è una novità che riguarda il piano A, ossia un’eventuale vittoria del Sì: anche in quel caso, se uscisse inaspettatamente trionfatore dalle urne, Matteo Renzi sarebbe pronto a salire al Colle e dare le proprie dimissioni da presidente del Consiglio. Con un’argomentazione semplice: questo governo è nato, nel 2014, con il preciso mandato di realizzare una riforma istituzionale attesa da trent’anni. Dopo lustri di tentativi andati a vuoto, la riforma è finalmente realtà, dunque questo esecutivo – questo sarebbe il messaggio del premier – ha concluso il proprio compito.
Naturalmente, in quel contesto, le dimissioni sarebbero un gesto simbolico, perché nessuno può dubitare che il presidente Sergio Mattarella ne prenderebbe atto, ma riconsegnerebbe subito il mandato al premier uscente. Il quale – anche se ufficialmente lo nega – coglierebbe l’occasione per rafforzare la compagine governativa, cambiando alcuni ministri e facendo entrare nuovi nomi. E anche la maggioranza potrebbe allargarsi, con l’ingresso ufficiale non solo della componente guidata da Denis Verdini (che non chiederebbe posti di governo) ma anche di spezzoni di sinistra radical che oggi soffrono la politica para-grillina di Sel: si parla già di alcuni senatori e deputati pronti a sposare una linea filo-governativa, e fuori dal Parlamento leader come Pisapia e Zedda si sono già schierati per il Sì.
Il piano B, in caso di vittoria del No, varia a seconda delle proporzioni della sconfitta. Ma se il distacco non fosse gigantesco, una cosa è certa: Renzi, anche per mancanza di leadership alternative, resterà protagonista della scena politica. Ne sono convinti anche al Colle, dove Sergio Mattarella avrebbe confidato ad alcuni interlocutori di non vedere altri premier possibili per portare il Paese alla scadenza naturale della legislatura nel 2018. E Renzi, dopo le dimissioni, potrebbe quindi accettare un reincarico per guidare un governo che avrebbe lo scopo principale di fare la nuova legge elettorale.
E anche qui le idee, in casa renziana, starebbero già prendendo forma: non ci si aspetta nulla di buono dalla sentenza della Consulta sull’Italicum, che potrebbe esercitare una fortissima pressione per il ritorno al proporzionale. L’argine, spiega un dirigente Pd renziano, potrebbe essere una legge «fifty-fifty»: metà collegi uninominali, metà proporzionale senza preferenze, con un premio attorno al 15% per la lista o coalizione che prende più voti. Un modello che, secondo chi se ne intende avendo lavorato per decenni accanto a Silvio Berlusconi, come Denis Verdini, «potrebbe stare benissimo anche al Cavaliere» perché gli garantirebbe di dar vita ad un’alleanza di centrodestra presentando comunque il simbolo di Forza Italia, e perché toglierebbe di mezzo le preferenze, eliminando un fattore di inquinamento del voto. Nel Pd sono convinti che con un sistema simile si potrebbe costituire un’alleanza con i centristi da una parte (Ap, Scelta civica, Ala) e la sinistra alla Pisapia dall’altra. E che ci sarebbero ottime probabilità di conquistare una maggioranza di collegi e il premio sul proporzionale.
Intanto, Renzi oggi annuncerà un’altra legge elettorale: quella per il Senato riformato, sulla base della proposta Chiti, per garantire la scelta diretta da parte degli elettori dei senatori.
di Laura Cesaretti, Il Giornale.it