Le case europee si preparano a lasciare i motori a gasolio, lo scandalo di Volkswagen è stato un duro colpo alla possibilità di affermarsi sul mercato americano. Ma il nodo è che i limiti alle emissioni previste dal prossimo step euro 7 hanno costi proibitivi
Addio al diesel sarà lento ma inesorabile. Un cambiamento destinato a stravolgere nei prossimi dieci anni lo scenario automobilistico. A cancellare intere gamme di modelli e a costringere i grandi costruttori a rivedere i programmi di sviluppo. E a farlo abbastanza velocemente per non correre il rischio di ritrovarsi “fuori dai giochi”. Un addio annunciato che i numeri raccontano fin troppo bene e le ricerche di mercato confermano ancora meglio. Un addio che ha fatto nascere un gruppo di pressione (Diesel XXI) tra alcuni dei grandi componentisti mondiali (da Bosch a Honeywell) con l’obiettivo di reagire alla campagna contraria al gasolio che sta montando in Europa. S econdo AlixPartners, una delle maggiori società specializzata in analisi di mercato, tra 14 anni la quota del gasolio diventerà residuale (9%), con le motorizzazioni ibride (28%), elettriche (20%), ibride plug-in (18%) che insieme diventeranno la maggioranza. Sono destinate a resistere ancora quelle a benzina (25% nel 2030 secondo lo studio) anche se opportunamente modificate.
Scenari impensabili? Esagerati? Non proprio. Perché a spiegare meglio le cose ci sono anche i numeri recenti. Quest’anno per esempio le vendite di auto diesel in Europa sono scese per la prima volta negli ultimi sette anni al di sotto del 50 per cento. Numeri elaborati sulla base di dati dei primi nove mesi del 2016 provenienti da 17 paesi del Vecchio Continente che ha portato la LMC Automotive a prevedere per la fine dell’anno la quota diesel in discesa del 2,6 per cento
al 49,3 per cento, il livello più basso dal 2009 e con il più rapido tasso di declino di tutto il decennio. Numeri e previsioni, dunque che raccontano un cambiamento epocale. Frutto, da una parte di normative sempre più restrittive nei confronti dell’automobile e delle sue emissioni e dall’altra dello scandalo delle emissioni truccate da Volkswagen, il famoso e tutt’altro che superato “Dieselgate”. Al Bedwell, direttore della LMC non è certo «se questo sarà davvero il punto di svolta. Ma sarebbe ingenuo dire che lo scandalo Volkswagen non ha avuto alcun impatto».
Stefano Aversa, vice presidente globale di AlixPartners, ha invece idee piuttosto precise sul tema: «Questo scandalo ha fatto emergere in pubblico cose che agli addetti ai lavori erano già conosciute. A cominciare dalla diversità dei cicli reali e teorici dei livelli di emissioni e consumi». I primi con valori ben più alti dei secondi. In altre parole i consumi e le emissioni sbandierati per i vari modelli non corrispondono affatto a quelli misurati in normali condizioni di guida. Considerazioni che naturalmente valgono per ogni genere di motorizzazione ma che stanno mettendo in una posizione di vantaggio proprio le auto a benzina «sia perché stanno diventando più affidabili grazie all’uso del turbo – aggiunge ancora Aversa – sia perché ovunque diminuisce il numero dei chilometri percorsi ogni anno». Ma per orientarsi meglio nel labirinto del diesel non bastano certo le considerazioni tecniche. «E’ un problema di normativa – sostiene infatti Gianprimo Quagliano, presidente del centro studi Promotor, uno dei più attenti osservatori dei mercati dell’automobile – e tutto dipenderà dalle scelte politiche. Insomma, la domanda è: come sostituire il diesel con qualcosa di altrettanto vantaggioso? I consumatori non fanno scelte per l’ecologia. Almeno nei grandi numeri. Basta vedere le vendite Gpl e metano, quando non ci sono più gli incentivi scendono in maniera vertiginosa. Sta di fatto – aggiunge infine Quagliano – che il diesel è diffuso solo in Europa e non nelle due altre grandi aree, Usa e Giappone.
Resta dunque un forte sospetto che la guerra al diesel sia anche una guerra economica tra aree e tra gruppi automobilistici ». “Guerre” a parte, la tendenza alla riduzione dell’uso del gasolio nel mondo dell’automobile resta un fatto. Così come i regolamenti sempre più restrittivi nei confronti di questo carburante. Sempre la AlixPartners prevede che le norme europee di emissione (attualmente fissate a 95 g/km di emissioni medie di anidride carbonica entro il 2020) andranno ad aumentare progressivamente e con loro i costi per adeguare i motori diesel. Cosa che costringerà i produttori ad aumentare il prezzo di listino dei modelli, rendendoli sempre meno convenienti rispetto a quelli a benzina. Un cambiamento che potrebbe rivoluzionare l’attuale scenario produttivo. Secondo Alix Partners i costruttori di automobili dovrebbero essere in grado di riconvertire i loro impianti per la produzione di motori elettrici al posto dei tradizionali visto che in media, per costruire un impianto che produce 400.000 motori l’anno sono necessari 500 milioni di euro. Mentre, per realizzare lo stesso numero di motori elettrici sono sufficienti circa 50 milioni ed è richiesto circa un decimo dello spazio necessario rispetto alla produzione di un motore endotermico. Oltre a costi di manodopera significativamente inferiori. Così per l’industria non resta che correre ai ripari. Cosa che ovviamente ha già cominciato a fare da un pezzo. Solo per fare qualche esempio, tra i più clamorosi c’è quello della Renault. Secondo un rapporto della Reuters, la casa francese, tra le prime a fare enormi investimenti sull’auto elettrica, entro la fine del decennio ridurrà drasticamente l’uso si motori diesel per le citycar e, in seguito, per la maggior parte dei suoi modelli. Questo proprio perché produrre auto a gasolio di piccole dimensioni potrebbe non essere più economicamente sostenibile dopo il 2020, anno in cui entreranno i vigore le nuove normative europee sulle emissioni. Sullo stesso fronte c’è anche la Toyota, leader del mercato mondiale, che ha già annunciato lo stop alla produzione di vetture diesel a partire dal 2025. I loro obiettivi sono tutti in direzione dell’ibrido (la cui leadership è totale) con cui presto sostituirà la quota diesel. Ma strategie simili sono all’ordine del giorno dei grandi gruppi tedeschi che cominciano a “spingere” sempre più sui motori elettrici anche se per vederne i frutti bisognerà attendere ancora parecchi anni. In prima fila è spuntata addirittura la Volkswagen. Le parole del suo numero uno, Matthias Mueller sono abbastanza esplicite sulle future strategie: «Bisognerà chiedersi se, a un certo punto, sarà ancora il caso di investire tanto denaro nello sviluppo del diesel». Detto da chi ha fatto di tutto questo una ragione di vita (industriale) fino a diventare il maggior produttore mondiale di motori a gasolio, rende bene l’idea di cosa stia accadendo nel mondo dell’automobile. Dunque, le cose cambiano, l’ecologia spinge e l’ambiente diventa sempre più importante.
D’altro canto la storia della pericolosità delle emissioni del diesel non nasce certo oggi. Già nel 2012 l’organizzazione mondiale per la sanità (Oms) aveva sostenuto che i gas di scarico di questi motori possono essere pericolosi per la salute tanto che due anni fa queste emissioni passarono dal gruppo 2, quello delle sostanze probabilmente cancerogene, al gruppo 1, quello delle sostanze definite “cancerogene certe” per l’uomo. Sull’argomento però le opinioni si dividono. I detrattori del diesel sostengono ad una minore produzione di CO2 (caratteristica di questi motori) corrisponde una quantità più alta delle cosiddette polvere sottili che non inquinano l’aria ma penetrano nei polmoni. I difensori ne mettono in risalto la maggiore potenza e i consumi più bassi sostenendo, poi, che gli ossidi di carbonio (Nox) vengono eliminati totalmente dai filtri antiparticolato (Fap) che li trasformano in gas volatili. La discussione, ovviamente va avanti e ognuno resta sempre della propria opinione. La pensano in maniera completamente diversa alcuni governi e molte amministrazioni cittadine, pronte a fare piazza pulita delle auto diesel nel più breve tempo possibile.
Londra e Parigi hanno già fissato i tempi per metterle al bando. La capitale francese vorrebbe bloccarle (almeno in parte) già a partire dal 2020 mentre Londra “si accontenterebbe” di una tassa giornaliera di 20 sterline. L’Olanda è andata ancora più avanti e, prima fra i paesi europei, ha dato inizio ad un iter legislativo per vietarne addirittura la vendita a partire dal 2025. Insomma, la guerra è aperta e l’esempio olandese ha già fatto i primi proseliti. In Norvegia, per esempio, leader del mercato delle auto elettriche con il 24 per cento di quota (l’Italia arriva appena allo 0,1 per cento) è appena comparsa una proposta di legge praticamente identica. E perfino la Germania sta percorrendo strade simili con la possibilità di chiudere il mercato delle auto diesel e a benzina a partire dal 2030. Una proposta, secondo il quotidiano Der Spiegel, sostenuta dal Bundesrat, il Consiglio federale tedesco, e da quasi tutti i partiti. Ma se il futuro sembra abbastanza chiaro per Paesi come l’Olanda, che d’altronde ha la più bassa quota di veicoli diesel in Europa (27,1%) o la Norvegia che detiene il primato delle elettriche, altrettanto non può dirsi per l’Italia. Il nostro Paese è l’unico grande mercato in Europa dove la percentuale di vetture diesel vendute è addirittura aumentata (1,6 per cento nei primi nove mesi del 2016), raggiungendo il 56,9% del totale. Ma potrebbero essere le ultime scintille prima che il fuoco si spenga. Perché l’addio al diesel sarà in alcuni casi più lento, ma pur sempre inesorabile.
Repubblica