La corsa al dopo-Renzi è ufficialmente partita. Rischia di essere platonica, perché anche in caso di sconfitta è assai poco probabile che Matteo Renzi levi le tende tanto facilmente dal suo accampamento a Palazzo Chigi. Però, c’è un fattore che spinge gli aspiranti successori ad alzare la testa per farsi vedere: da settimane, ormai, i “no” sono dati in vantaggio sui “sì”. E in modo piuttosto netto. E se, come si dice, la speranza è l’ultima a morire…
Eccoli, allora, gli aspiranti dopo-Matteo. Li elenca il quotidiano Il Giornale, partendo dalla “banda degli ex-presidenti”: c’è Enrico Letta, che è per un attimo spuntato dal suo esilio dorato parigino per dirsi favorevole al “sì” ma sembra dire “Matteo stai sereno”: la sua sarebbe una candidatura nella linea della continuità. Di “rottura” è invece la discesa in campo di Mario Monti, che ha annunciato che voterà contro le riforme che in realtà da parlamentare ha approvato e si è scagliato contro “una politica che cerca il consenso attraverso bonus fiscali, elargizioni mirate o altre forme di spesa pubblica”. Monti guarda dunque oggi a quel mondo che sta a sinistra di Renzi, al “vecchio Pd” vicino alla Cgil. Difficile, però, che Bersani & Co puntino su un nome come il suo, che sarebbe davvero traumatico tanto all’interno della sinistra Pd quanto per l’area renziana del partito.
Più facile che, con realismo togliattiano pensino ad un nome che garantisca comunque una certa continuità con Renzi come quello di Carlo Calenda, che di Matteo è oggi ministro, ha una grande capacità di comunicazione e ottime referenze sul piano internazionale. Gradito a Mattarella, sempre e comunque per un governo “di transizione”, sarebbe invece un altro nome: quello del presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone. Ma resta da chiedersi: Renzi, anche di fronte a una vittoria del “no”, sarà disposto a cedere quella campanella che due anni e mezzo fa ha strappato con tanta avidità dalle mani di Enrico Letta.
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