Referendum, investitori e inchieste è già partita la battaglia delle nomine

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Il primo mandato dei cda scelti da Renzi termina in primavera, ma i lobbisti sono già all’opera. All’Eni fondi irriati per il caso della consigliere Litvack, rimossa dopo lo strano esposto a Siracusa su un complotto contro l’ad Descalzi

Matteo-Renzi_2950810bEni. Enel. Leonardo. Terna. Poste. Enav. Non sono solo le banche italiane ad attendere trepidanti il referendum sulla riforma costituzionale per capire se Unicredit, Montepaschi, Vicentina e Veneto banca potranno completare i loro riassetti con ampie emissioni azionarie sul mercato, o dovranno affidarsi ad altri mezzi (da capire). Alla scadenza guardano con ansia anche i vertici delle grandi società partecipate dallo Stato, e i fondi, investiti per decine di miliardi. Sono i presidenti e gli amministratori delegati delle società che la prossima primavera rinnoveranno i consigli di amministrazione, e che ora sfogliano verze cercando di capire con quale tasso di discontinuità.
Il bivio del 4 dicembre è, tra l’altro, grandemente aleatorio: gli ultimi sondaggi sono leggermente favorevoli al “no”, ma è certo che ne vedremo delle belle nei prossimi mesi, per cui è arduo fare previsioni ora. Quel che già si vede è il lavorio di consulenti, lobbisti, dirigenti aziendali e investitori del mercato (sempre più attivi nel concorso alla governance in Italia) sui singoli dossier. Convincere e avere al fianco gli istituzionali, in prevalenza anglosassoni, è fondamentale: in quanto azionisti di complessiva maggioranza delle aziende più grandi, i fondi hanno infatti l’ultima parola in molte primarie assemblee. Uno status garantito dal meccanismo del voto di lista, e che nelle ultime assise societarie li ha resi determinanti quando nella spinta, quando nell’ostacolo (con netto smacco reputazionale) dei vertici di Unicredit, Intesa Sanpaolo, Generali, Snam, Ubi.
Tutti scommettono che così sarà anche tra sette mesi: specie su Eni, Enel, Leonardo, Terna e Tim, dove il mercato ha in mano il quorum assembleare. Tastando il polso degli investitori internazionali in queste aziende si percepisce molta attesa, e voglia di sgombrare il campo prima possibile da eventuali fattori di rottura imponderabili. Altro punto di attenzione riguarda il ruolo degli amministratori non esecutivi, garanti degli interessi del mercato: caratteristiche quali-quantitative, buona dialettica nei consigli, trasparenza e pratiche di governance in linea con gli standard sono le aspettative che faranno alzare o abbassare il pollice ai gestori nelle assemblee 2017.
Il primo nodo da sciogliere riguarda i rapporti tra l’Eni e gli investitori istituzionali, che detengono il 70% del gruppo petrolifero. Le inchieste per corruzione internazionale che hanno coinvolto la dirigenza non sono una buona cornice: nelle prossime settimane potrebbe esserci la concomitanza, in procura a Milano, del processo contro l’ex ad Paolo Scaroni sugli affari di Saipem in Algeria, e della chiusura delle indagini sull’ad Claudio Descalzi, sotto inchiesta per gli affari di Eni in Nigeria. Ma il caso che più sembra infastidire i fondi stranieri riguarda il congelamento di Karina Litvack, consigliera espressa dai fondi nel 2014 che il 28 luglio è stata “avvicendata” dal Comitato consiliare controllo e rischi, “alla luce delle indagini in corso su ipotesi di cospirazione ai danni della società riportate anche dalla stampa”. Il riferimento era al Fatto Quotidiano, che da giorni dava ampio conto di un’inchiesta aperta a Trani e a Siracusa dopo un esposto anonimo che ipotizzava un complotto per destabilizzare l’ad Claudio Descalzi, e aveva fatto iscrivere tra gli indagati Litvack, l’ex consigliere Luigi Zingales e Umberto Vergine. Zingales, uno dei paladini del mercato nei cda, lasciò quello dell’Eni nel 2014, per non riuscire a ottenere provvedimenti più severi dopo l’emersione delle mazzette in Algeria da parte della controllata Saipem. Vergine ne fu ad tra il 2012 e il 2015, poi rientrò all’Eni, a capo del gas midstream. Per l’accusa gli indagati diffondevano email false e diffamatorie per screditare Descalzi e favorirne la sostituzione con Vergine a capo dell’Eni. Un faldone che somiglia più a un “polpettone”, a base di faccendieri, delazioni e gli immancabili servizi segreti del Mossad. Già l’indomani il procuratore aggiunto di Siracusa disse all’Ansa che l’inchiesta “non era più in corso, e trasferita per competenza territoriale ad altra procura”. A Milano, dove il pm De Pasquale vedrà se aggregarlo alle indagini sulla Nigeria in chiusura. Eni ha sottolineato, nella breve nota di luglio, che la decisione fu “presa al solo fine di assicurare la massima tutela alla società dai rischi derivanti da possibili conflitti di interesse, ferma restando la presunzione di estraneità di Litvack dai fatti sotto indagine”. Linea rafforzata venerdì in un incontro con il mercato a Parigi, dove a domanda di un investitore la presidente Emma Marcegaglia ha risposto che la mossa è frutto di pareri legali volti a evitare “accuse di negligenza al cda”, e ha espresso “massima fiducia nella competenza, integrità e innocenza ” di Litvack (presente in sala), dicendosi “pronta a reintegrarla se le accuse cadranno”. Un cambio di versione – senza novità conosciute – che non ha convinto gli investitori, già perplessi per la disparità di trattamento con altri dirigenti Eni indagati e in sella, a partire dall’ammini-stratore delegato. Diversi gestori anglosassoni come Tiaa, West Path, Hermes, Legal & General avrebbero chiesto – in proprio e tramite il Comitato gestori di Assogestioni chiarimenti all’Eni. Simone Chelini, coordinatore del Comitato gestori che stila le liste di minoranza, sul tema dice ad Affari & Finanza: “Il Comitato, dopo un primo incontro con Litvack successivo all’articolo di stampa, ha deciso di promuovere un processo di engagement tra la società e il mercato, per comprendere a fondo le ragioni delle decisioni aziendali adottate. Il confronto improntato a una dialettica franca e collaborativa fra azienda e mercato non è ancora concluso”. Tra i gestori si teme che tanto zelo sia più legato al fatto che l’esperta canadese di governance di F&C avesse canali diretti con gli investitori, e ponesse domande scomode nei cda. In base alle risposte ottenute gli investitori decideranno come impostare le strategie per l’assemblea Eni 2017: a oggi non si esclude di presentare una lista più lunga di minoranza, con Litvack e altri nomi, su cui far convergere i loro voti.
Le conseguenze dell’azione giudiziaria potrebbero mettere sotto scacco anche Mauro Moretti, leader di Leonardo che in tre anni ha rilanciato l’azienda raddoppiandone la capitalizzazione. Ma il 20 settembre i pm di Firenze, nel processo sul disastro di Viareggio in cui morirono 33 persone, hanno chiesto per l’ex ad delle Ferrovie dello Stato 16 anni di reclusione per le imputazioni incendio colposo, omicidio e lesioni plurime colpose, disastro ferroviario. Richieste pesanti, e si vedrà la sentenza, verso fine anno. Anche una sentenza di condanna, essendo il primo grado e non riguardando aspetti patrimoniali, non dovrebbe squalificare Moretti. Tuttavia si potrebbero porre rilievi di opportunità, e polemica politica su un manager tra i favoriti di Renzi. Si dice poi che il presidente del gruppo della difesa, Gianni De Gennaro, classe 1948 e che finirà in aprile il secondo mandato, potrebbe essere sostituito. Stando alle voci quel posto potrebbe far contento Giuseppe Recchi, presidente della Tim “francese” in scadenza, o Ferdinando Beccalli Falco, dirigente di esperienza internazionale che dopo Ge si trova un po’ sacrificato a presiedere Enav (anche qui ci sono vertici in scadenza e decide il Tesoro con il 51%).
Altra azienda pubblica che potrebbe sperimentare novità nel rinnovo è Poste. Gruppo dalle grandi potenzialità, e che il governo azionista ora ha lanciato alla conquista di Pioneer. La quotazione del 2015 è stata positiva, ma la seconda tranche è stata rinviata, anche per vedere se il piano di comprare il risparmio gestito di Unicredit sarà preferito a quelli degli agguerriti rivali internazionali. Tra qualche mese si vedrà se l’ad Francesco Caio, che piace al mercato ma è sempre stato poco diligente rispetto ai desiderata dell’azionista, verrà confermato. Anche la presidente Luisa Todini, imprenditrice di estrazione politica (centrodestra) potrebbe avere problemi per un bis. Pochi dubbi sembrano esserci, invece, per il rinnovo dei vertici di Enel e di Terna. Nel primo caso il capoazienda Francesco Starace è atteso alla prova di maturità della banda larga, e a consolidare la presenza multinazionale, specie nelle Americhe. Nel secondo, l’ad Matteo Del Fante è molto stimato nella cerchia renziana, e non sarà il business regolato della trasmissione di elettricità a inimicarlo. Anzi, si dice a Roma che nel vivaio di dirigenti della Cassa depositi (Del Fante era direttore generale) Renzi potrebbe pescare ancora per le nomine 2017.

Repubblica