L’Istat ha adeguato il perimetro delle amministrazioni pubbliche alle indicazioni UE e viale Mazzini ci ricade: contribuisce a debito e deficit dello Stato. Così rischia di esser equiparata a un Ministero: tagli automatici, procedure per gli acquisti più rigorose, reclutamento solo per concorso. “Non potremmo competere con Mediaset, La7, Sky o Discovery”
Sulle assunzioni, gli acquisti, gli appalti, la Rai rischia di finire imbrigliata nella rete di vincoli e procedure tipiche della Pubblica Amministrazione. La sua libertà d’azione – effetto della riforma del servizio pubblico tv del Natale 2015 – può attenuarsi ora in modo forte ed evidente. Questa situazione – che il consiglio di amministrazione di Viale Mazzini discuterà nelle sedute di domani e giovedì – è la conseguenza di una decisione dell’Istat. Una decisione allarmante per la Rai, ma dovuta e obbligatoria.
Venerdì – su input dell’Europa – il nostro Istituto di statistica ha immesso la Rai nel perimetro delle “amministrazioni pubbliche”, entità che l’Istat monitora perché possono contribuire a creare sia il deficit annuale sia il debito strutturale dello Stato. Entrare in questo elenco di amministrazioni vigilate, e pubbliche, comporta quattro rischi per la televisione di Stato. Intanto Viale Mazzini teme di essere investita, in modo quasi automatico, da tutte le misure di contenimento della spesa che lo Stato deciderà per rispettare i vincoli comunitari di bilancio. Arriva un blocco delle assunzioni nella Pubblica Amministrazione per 6 mesi? Se ieri la tagliola scattava solo per i ministeri, la scuola, le Asl, domani morderà anche i polpacci della Rai, dove non si assumerà per 6 mesi. Le stesse procedure di reclutamento del personale possono cambiare radicalmente. Viale Mazzini si chiede, ad esempio, se il concorso diventerà obbligatorio anche dalle sue parti, adesso che l’Europa la classifica come una qualsiasi entità pubblica.
Terzo serio motivo di allarme riguarda gli acquisti. “Quando noi abbiamo bisogno di una telecamera ad altissima definizione o di un drone – dice il consigliere di amministrazione Franco Siddi – possiamo comprare questi beni in tempi ragionevoli, sia pure nel rispetto delle procedure di fornitura”. Ma altra cosa sarebbe sottoporsi al sistema di norme della Consip, come gli ospedali quando acquistano bende o bisturi.
Infine ci sono le gare. La legge Renzi sulla Rai – la 220 del 2015 – all’articolo 3 concede una serie di corsie preferenziali alla televisione dì Stato che può derogare spesso e volentieri al Codice dei contratti pubblici. Ad esempio per l’acquisto, la produzione o la vendita di opere audiovisive; oppure per lavori e forniture che abbiano un importo inferiore alle soglie comunitarie. Queste deroghe – ribadite dal Testo unico sulle società a partecipazione pubblica del 2016 – resteranno valide e in piedi, se la Rai ha la stessa veste giuridica di un ministero o di una scuola?
Perché, alla fine, prende corpo anche questo: un problema di identità giuridica. La legge Renzi del 2015 chiarisce che la televisione di Stato, anche se a totale controllo pubblico, è sottoposta alla disciplina delle società per azioni. In altre parole Viale Mazzini può fare, spesso, lo stesso cammino di un’azienda privata. “Questo meccanismo – dice ancora Franco Siddi – ci permette di competere ad armi pari con Mediaset, con La7 di Cairo, con Sky o Discovery“. Ma la capacità di manovra rischia di implodere, di finire se l’identità della Rai restasse imprecisata, a metà strada tra pubblico e privato.
Anche per questo il deputato del Pd, Michele Anzaldi, richiama l’attenzione di Palazzo Chigi sul caso. Un decreto del presidente del Consiglio dei ministri potrebbe fornire un’interpretazione corretta delle regole in campo restituendo delle certezze a Viale Mazzini, dopo la mossa dell’Istat questo venerdì.
La mossa dell’Istat, in ogni caso, non è arbitraria. L’Istituto di statistica ha recepito un preciso input che gli è arrivato dalla casa madre europea Eurostat. Fin dal 2010, l’Europa ha precisato le regole che ogni Stato deve seguire quando misura le proprie uscite e le entrate. E l’Europa ha anche indicato quali realtà pubbliche vanno monitorate per fare i calcoli. Finora le tv pubbliche erano fuori da questo perimetro e da questo radar, mentre ora l’Europa le ha volute dentro. L’indicazione risale a marzo 2016. In particolare l’inclusione deve avvenire quando una televisione è a controllo statale (come la Rai) e quando i proventi dell’attività commerciale (tipo spot o vendita di programmi) “non riescono a coprire la metà dei costi di esercizio” (come capita ancora alla Rai).
Repubblica