Sulla banda ultralarga il governo ha messo all’angolo Bolloré e il suo gruppo telefonico. Un sms del premier ha sancito la rottura con il raider francese. Maturata dopo la nomina di Flavio Cattaneo. Ma si rischiano migliaia di posti di lavoro
L’ultima mossa risale al 25 maggio. Quel giorno il consiglio d’amministrazione della Cassa depositi e prestiti, il braccio finanziario del governo italiano, ha detto di preferire Enel a Telecom. La posta in palio? Metroweb, società controllata dalla stessa Cdp e proprietaria della rete in fibra ottica a Milano, Bologna, Genova e Torino.
Un boccone conteso da Enel e Telecom, che per diventarne proprietari avevano offerto più o meno la stessa cifra: 800 milioni di euro. La decisione, concordano gli analisti, è cruciale soprattutto per un motivo: Matteo Renzi ha chiarito chi sarà proprietario della rete del futuro, l’infrastruttura che dovrebbe permettere un nuovo sviluppo di Internet in Italia. La scelta del premier è ricaduta su un’azienda energetica, finora mai coinvolta in altri settori, che rispetto a Telecom ha una caratteristica: è controllata dal governo stesso, mentre l’ex monopolista telefonico è in mano al francese Vincent Bolloré. Particolare non da poco, visto che in gioco c’è il dominio sulle comunicazioni.
Quando gli esperti vogliono spiegare che cos’è la banda ultralarga, cioè la rete in fibra ottica che arriva fin dentro alle case, di solito fanno questo paragone: è come un’autostrada rispetto a una strada provinciale. La prima è la banda ultralarga, la seconda la rete in rame su cui oggi passa gran parte delle nostre conversazioni. Se il miracolo economico italiano ha richiesto la costruzione di autostrade in cemento e asfalto, oggi che l’economia passa sulla rete è la banda ultralarga ad essere considerata l’infrastruttura indispensabile. Lo sostiene da tempo anche l’Unione europea. La fibra ottica aiuta le aziende ad essere più competitive, riduce l’inquinamento permettendo più videoconferenze e meno viaggi aziendali, costituisce l’ossatura delle città intelligenti in cui energia, traffico e rifiuti sono gestiti in modo efficiente. Vantaggi chiari da tempo. Eppure l’Italia è agli ultimi posti nella classifica europea: a fine 2015 era coperto dalla banda ultralarga solo il 40 per cento della popolazione, contro una media Ue del 72 per cento.
Telecom è stata per anni la principale candidata a colmare il deficit tricolore. Gli inviti da parte dei governi succedutisi negli ultimi anni, tuttavia, non hanno prodotto grandi risultati. Per due motivi. Portare la fibra ottica nelle case di tutti gli italiani avrebbe richiesto uno sforzo rilevante agli azionisti della compagnia telefonica, alle prese con ricavi in calo e un bel fardello di debiti. Per di più, senza sborsare un euro, i soci hanno così continuato a beneficiare di una rendita di posizione: la rete in rame, che ha finora assicurato un giro d’affari più o meno costante. La situazione è rimasta invariata per anni, e nemmeno il nuovo azionista di controllo, Bolloré, pareva intenzionato a cambiarla. Almeno fino a quando non ha iniziato a circolare insistentemente il nome di Enel come possibile protagonista della rivoluzione digitale. A quel punto anche Telecom si è fatta avanti: pur ribadendo di non voler fare aumenti di capitale, ha annunciato che la fibra ottica arriverà in quasi tutto lo Stivale, passando dall’attuale 45 per cento all’84 per cento entro fine 2018, con un investimento di 3,6 miliardi di euro. Ma ormai, indicano gli eventi recenti, per il governo era troppo tardi.
Lo si evince da un episodio finora inedito, che vede come protagonisti il finanziere bretone e il premier italiano. Oggetto: la nomina del nuovo amministratore delegato di Telecom, avvenuta il 30 marzo. Secondo una fonte autorevole sentita da “l’Espresso”, le cose sono andate così. In un incontro ufficiale, avvenuto a fine febbraio, Bolloré avrebbe promesso la nomina di un capo-azienda gradito al governo. Il nome preferito da Palazzo Chigi era quello di Maximo Ibarra, numero uno di Wind. Alla fine le cose sono andate diversamente. Il cda di Telecom ha scelto di affidare l’incarico a Flavio Cattaneo, già capo della Rai ai tempi del governo Berlusconi. E quando Bolloré ha scritto un sms a Renzi proponendogli un incontro per presentargli Cattaneo, il premier avrebbe risposto glaciale: «No, grazie, l’ho già conosciuto leggendo i giornali».
Pochi giorni dopo, il 7 aprile, il leader del Partito democratico ha annunciato che in tutta Italia, grazie a un’azione congiunta di Enel e governo, saranno presto disponibili connessioni a Internet in fibra ottica. Investendo 2,5 miliardi di euro, entro il 2022 l’azienda guidata da Francesco Starace porterà infatti la banda ultralarga nelle case di 224 città: a usarla saranno gli operatori telefonici, da Vodafone a Wind, che pagheranno una sorta di affitto a Enel. Negli altri 7.300 Comuni italiani, quelli in cui nessun operatore privato investirebbe soldi per paura di perderli, sarà invece lo Stato, con uno stanziamento di 3 miliardi, a pagare per la rete: l’operatore che la realizzerà e ne sarà concessionario verrà scelto con un bando pubblico. Chi vincerà? Stando ai documenti di consultazione circolati finora, il candidato ideale sembra proprio Enel.
Ma come può un’azienda energetica lanciarsi in un business così complesso come quello delle reti di telecomunicazione? E soprattutto, quali sarebbero i vantaggi? Sul lato tecnico, Starace ha giustificato l’avventura con una circostanza fortuita. Prossimamente l’azienda dovrà sostituire 30 milioni di contatori elettrici: un’occasione per portare nelle case, oltre alla corrente, anche la fibra. In realtà solo il 40 per cento dei contatori si trova all’interno delle abitazioni: nei restanti casi bisognerà usare altre infrastrutture per arrivare nelle case. Dettagli che potrebbero incidere sulla convenienza economica del progetto.
Enel, per ora, non fornisce stime. Secondo due tecnici che hanno seguito da vicino il piano industriale, la redditività sarà però significativa: il 13 per cento dal 2021, il 20 per cento dal 2030. Stime credibili anche secondo Giuseppe Rebuzzini, analista della società spagnola Fidentiis Equities: «A regime Enel dovrebbe aumentare il proprio margine operativo lordo di 250-300 milioni di euro all’anno: non è molto, considerando i numeri attuali dell’azienda, ma se Starace riuscisse a replicare il progetto in altri Paesi quello della fibra potrebbe diventare un business rilevante».
Per Telecom, le prospettive sono praticamente opposte. Lo dimostra l’andamento recente dei due titoli in Borsa, come si vede nel grafico qui a fianco. E lo spiegano i report di alcune società finanziarie. I rischi, per Bollorè e soci, sono principalmente due. Il primo è la perdita di utenti sul mercato all’ingrosso: alcuni operatori, come Wind e Vodafone, hanno infatti già annunciato che sposteranno i propri clienti sulla rete di Enel. Il secondo è quello di perdere consumatori finali, che passerebbero alla concorrenza per sfruttare una connessione più veloce. Risultato? Per la banca tedesca Berenberg, Telecom vedrà sgonfiarsi il margine operativo lordo di 300 milioni di euro all’anno, mentre secondo Fidentiis Equities la perdita potrebbe raggiungere addirittura i 350-400 milioni.
Tutto questo senza considerare la svalutazione del bene più prezioso: la rete in rame. Che in bilancio vale circa 15 miliardi di euro, garantendo una buona parte del debito aziendale, ma che una volta messa in competizione con la banda ultralarga targata Enel potrebbe vedere dimezzare il suo valore, stando alle stime della francese Exane Bnp Paribas. Non solo. La principale azienda italiana di telecomunicazioni rischia anche di perdere quattrini sulla sua infrastruttura in fibra, quella che oggi copre quasi metà del territorio italiano. La presenza di due reti sovrapposte – questa la situazione che si creerebbe se entrambe le società mantenessero gli impegni presi – allontana infatti ancor di più la possibilità di recuperare l’investimento. Il che, ovviamente, rappresenta un problema potenziale anche per Enel, sebbene molti analisti siano convinti che alla fine sarà il progetto di Starace a prevalere su quello di Cattaneo.
Di certo, Telecom non poteva accogliere supinamente il piano del governo. Infatti, stretta all’angolo ha cercato di contrattaccare. Ha lasciato intendere di voler smettere di comprare elettricità da Enel, annunciando una gara per scegliere il nuovo fornitore. Non ha smentito la notizia secondo cui potrebbe presto allearsi con l’italo-francese Edison per fornire congiuntamente energia e servizi di telefonia. Ma, soprattutto, ha accusato Starace di discriminarla nella corsa al digitale. La società controllata da Bolloré ha infatti detto di aver chiesto informazioni a Enel sulle infrastrutture elettriche che in teoria anche Telecom potrebbe utilizzare per posare la fibra ottica, ma dal colosso elettrico non sarebbero arrivate risposte. Accuse che dal quartier generale di Enel respingono, sostenendo di aver offerto a tutti gli operatori le stesse possibilità. Fatto sta che Cattaneo non l’ha presa bene, e nei prossimi sei mesi ha promesso di dare fastidio al nuovo concorrente con un’iniziativa inedita: connessioni gratuite da 1 gigabit (dieci volte più veloce rispetto alle migliori oggi disponibili) per alcuni clienti di Milano e Perugia. Quest’ultima è la città in cui Enel ha iniziato i lavori per la posa dei primi chilometri di fibra ottica. Insomma, la guerra è ufficialmente aperta. Anche se, salvo mosse a sorpresa, ribaltare il pronostico favorevole a Starace ora può sembrare molto difficile. Il punto, allora, è su chi ricadranno le conseguenze dello scontro. Il candidato numero uno, in teoria, è Bolloré, che in Telecom sostiene di aver investito finora 3,3 miliardi. E la cui quota, in carico a 1,14 euro per azione, potrebbe svalutarsi pesantemente se il valore di Borsa dovesse continuare a calare (nel momento in cui il nostro giornale va in stampa il titolo viaggia su valori più bassi, pari a circa un quarto in meno). Alcuni esperti sono però convinti che il finanziere bretone abbia ancora degli assi nella manica. Si vedrà.
Intanto, i più spaventati sono i circa 50 mila dipendenti italiani di Telecom. Perché se la rete in rame dovesse subire un’emorragia di clienti, di tutti quei lavoratori non ci sarebbe più bisogno. E anche se, come immaginato da alcuni osservatori, l’infrastruttura venisse scorporata e messa sul mercato, non è detto che si trovino compratori disponibili, dato che a quel punto le comunicazioni potrebbero passare potenzialmente sulla fibra ottica e del rame si potrebbe fare a meno. La Cisl stima che 15 mila dipendenti di Telecom rischiano di perdere il posto. Una previsione pessimista, forse, ma di certo anche il governo è consapevole che la manovra organizzata insieme a Enel potrebbe portare in dote amare controindicazioni. Se è vero infatti, come assicurano gli esperti, che la nuova rete in fibra ottica creerà fino a duemila posti di lavoro stabili (addetti alla manutenzione e gestione della rete) e altri potrebbero trovare occupazione grazie all’impulso che avrà Internet, il conto finale rischia comunque di essere negativo. E allora l’Italia avrà sì la sua banda ultralarga, ma con meno suonatori rispetto a oggi.
di ALESSANDRO LONGO E STEFANO VERGINE, L’Espresso