Testimone a Firenze nel processo che lo vede imputato per il crac del Credito cooperativo. I pm lo hanno incalzato sui finanziamenti a società amiche e sui contributi pubblici raccolti dal suo giornale. «Una passione per l’editoria. Sono un esperto del settore»
Denis Verdini e l’amore per l’editoria. Una storia lunga quasi vent’anni. L’ha ribadito più volte in udienza durante il processo che lo vede imputato insieme ad altre 44 persone per il crac del Credito cooperativo fiorentino. È stato sentito a Firenze sia per il dissesto finanziario dell’istituto di credito, di cui è stato presidente, sia per la truffa ai danni dello Stato relativa ai contributi ricevuti dalla Società toscana edizioni. Il gruppo che editava “Il Giornale della Toscana”. L’editoria, appunto: «Una passione che ho sempre avuto e coltivato, tanto che sono anche tra i fondatori del Foglio di Giuliano Ferrara; io sono stato considerato un esperto nel settore dell’editoria, a cui si sono rivolte tante persone». Verdini si è definito «promotore principale, l’organizzatore e il finanziatore principale del “Giornale della Toscana”» tra il 1998 e 2001, «coinvolgendo nell’impresa un gruppo di amici, che si sobbarcarono un esborso finanziario di circa 10 milioni di euro». Il senatore, però, ammette: «Nessuno al mondo può pensare di guadagnare con la piccola editoria». Poi è arrivata la crisi della testata. Un momento di difficoltà che produce una grande idea: creare una cooperativa così da attirare i contribuiti previsti dalla legge. Verdini, poi, ritorna sulla nascita de “Il Foglio”: «Iniziò l’attività con capitali privati e poi si è trasformato in una cooperativa per accedere ai contributi pubblici». Dell’impegno nel campo dell’informazione ha fatto la sua bandiera durante il dibattimento. «Sono orgoglioso di aver lanciato il Giornale della Toscana e così di aver portato oltre 40 aspiranti redattori a diventare giornalisti», ha spiegato ai pm. Insomma, il politico ex Berlusconiano, ammiratore e sostenitore di Matteo Renzi, non è «un piccolo diavolo» come lo disegnano da anni. Lui, sostiene, ha sempre agito correttamente. Perché l’ha fatto solo per passione. Passione per la stampa, «che mi ha sempre accompagnato nella vita». Chiuso il capitolo “Giornale”, i pm Luca Turco e Giuseppina Mione hanno aperto quello più spinoso sul Credito cooperativo Fiorentino. Il senatore ha precisato fin da subito che la banca di cui era presidente «non vendeva carciofi, ma era una banca come tutte le altre, dove tutto funzionava regolarmente secondo legge». E sui rilievi mossi dalla Banca d’Italia? «La Banca d’Italia può fare tutti i rilievi che ritiene ma mi corre l’obbligo di ricordare che è sempre stato tutto regolare». I pubblici ministeri hanno contestato però diverse anomalie. In particolare su operazioni bancarie sospette e finanziamenti dubbi. La risposta è stata netta: «Nel sistema bancario niente è oscuro. Perchè esiste una centrale rischi che è aggiornata continuamente con tutti i dati di ogni banca. Non è possibile nascondere niente nel sistema bancario. È un sistema trasparente. La Banca d’Italia è la mia chiesa, verso la quale ho il massimo rispetto. Io sono di cultura laica e considero la Banca d’Italia come un santuario». Oltretutto, ha spiegato l’imputato, la sua banca era in costante contatto con Bankitalia. Ogni quattro mesi c’era un’ispezione. Tutto sotto controllo dunque per il senatore. Eppure qualcosa non ha funzionato come doveva. I pm infatti sono convinti che siano state violate le norme sulla concentrazione dei rischi, in particolare per aver dirottato finanziamenti sulla Btp e le altre società collegate all’amico e co-imputato Riccardo Fusi. Banca d’Italia viene citata ripetutamente da Denis Verdini: «Ci chiedeva spiegazioni analitiche su ogni grande rischio, carteggi in cui Bankitalia scriveva tutto e il contrario di tutto, in un modo che la Crusca li boccerebbe tutti. A Bankitalia scrivono in modo esoterico». Ciò che ha reso grande il Credito è stata l’edilizia. I grandi progetti immobiliari: il senatore, per esempio, cita il piano di sviluppo immobiliare tra Firenze e Prato. «Prima, a venire da Campi Bisenzio a Firenze erano 10 chilometri di praterie. Ora è tutto costruito. C’era una vocazione immobiliare del territorio. E noi ci siamo dedicati. Sapendo che è un tempo lungo quello del prestito immobiliare e quello del rientro, ma c’è un elemento serio, solido, che è la garanzia immobiliare». È la sintesi di come si contruiscono solidi rapporti con le società immobiliari e di costruzioni del territorio. Anche con quelle degli amici, come Fusi. Compari di sventura, Verdini e Fusi, in altra vicenda. Quella della Scuola Carabinieri di Castello. Il senatore è stato condannato a due anni per corruzione. Un patto corruttivo in cui la classica mazzetta è stata sostituita dall’interessamento “indebito” del politico a favore del costruttore amico. Quella di Verdini non sarà l’ultima apparizione in un’aula di tribunale. Di processi ne ha altri. È imputato, per esempio, anche in quello contro la P3, per la costruzione della Scuola dei marescialli di Firenze.
L’Espresso