La vedova Failla: “Con mio marito lo Stato ha fallito e ora non è capace neanche di evitargli un’inutile autopsia”
“Non voglio politici al funerale di Salvo”. Il lutto di Rosalba Castro Failla è nelle occhiaie profonde, sale nel colore nero del maglione indossato sopra i jeans da ragazzina, cure nelle Rothmans accese una dopo l’altra. È soprattutto nelle parole scagliate come sassi contro le istituzioni: “Il messaggio di cordoglio di Mattarella? Mi spiace ma per me non ha valore, non mi tocca. Non volevo condoglianze, volevo mio marito vivo. Fino al giorno prima della notizia dell’attentato la Farnesina mi aveva rassicurato: “Presto tornerà a casa”. E invece tutto è finito con quelle parole al telefono da Roma: “Signora, c’è stata una disgrazia…”. Seduta sul divano del salone di casa, al fianco delle figlie Erika ed Eva, la vedova di uno dei due tecnici della Bonatti ucciso in Libia irrobustisce un atto d’accusa cominciato sabato attraverso il suo legale Francesco Caroleo Grimaldi. Ora la donna si sfoga direttamente in una conversazione a voce bassa, quasi una confessione.
Signora, in queste ore ha avuto parole molto dure nei confronti dello Stato.
“Non dico che non mi sento italiana, ma questo Stato ha fallito. Gli uomini delle istituzioni finora non hanno avuto il coraggio di chiamarmi (solo ieri è arrivata una telefonata del ministro degli Esteri Gentiloni, che ha chiamato anche il figlio di Fausto Piano, ndr). Forse perché non sanno cosa dirmi, forse perché non sono riusciti a liberare Salvo, forse perché non riescono neppure a rispondere alla richiesta di evitare che gli facciano un’inutile autopsia in Libia”.
Come ha vissuto gli otto mesi del rapimento?
“Un’altalena di angoscia e speranza. Ho dormito poco e ho pregato tanto la Madonna dello scoglio, protettrice di San Domenico in Calabria, meta di una vacanza con mio marito. Siamo sempre stati molto devoti”.
Qual è stato l’ultimo contatto con suo marito?
“Salvo mi mandò un messaggio su WhatsApp il 20 luglio, appena arrivato in Libia dopo essere stato in Sicilia: “Non sono ancora arrivato al cantiere, ti chiamo più tardi”, mi scrisse. Tante volte mi sono interrogata su quello strano spostamento, da Tripoli al campo base, fatto di sera e non di mattina presto come al solito. Io sono convinta che, in tutti questi mesi, mia marito sia rimasto a Sabrata. E lì era, ne sono certo, quando il 19 febbraio i droni americani hanno buttato le bombe. Domenica scorsa, per l’ultima volta ho sognato una telefonata di mio marito. Mi sono svegliata di soprassalto e l’ho chiamato, ai suoi numeri di sempre. La linea era muta. Ma quello è stato per me un triste presagio”.
Ha sentito i parenti degli altri ostaggi?
“No, hanno avuto un pensiero nei confronti di Salvo e li ringrazio. Sono felice per loro che possono riabbracciare i propri cari. A me questa fortuna non è concessa. È atroce che mio marito abbia pagato con il sangue la liberazione dei colleghi. Io non so come sia andata esattamente ma ho appreso che Salvo e Fausto Piano (l’altro ostaggio ucciso, ndr) sono stati tenuti separati da Calcagno e Pollicardo durante l’ultima parte della prigionia, e sono morti 24 ore prima della liberazione degli altri due”.
Quante volte ha sentito la Farnesina durante il periodo del rapimento?
“Praticamente ogni giorno, anche più volte al giorno”.
Qualcuno le ha parlato di una richiesta di riscatto?
“Che ci sia stata una trattativa basata su un riscatto mi pare logico “.
Da quanto tempo suo marito lavorava in Libia?
“Un paio d’anni. Mio marito adorava il suo lavoro, ne parlava sempre, anche a cena o al bar. Ha fatto tanti mestieri, in campagna e nei cantieri, prima di entrare alla Bonatti come manovale e quindi saldatore. In Svizzera, in Algeria, in diverse parti d’Italia. Da qualche tempo ci chiedevamo quando sarebbe finita questa vita a distanza, lui stava 60 giorni in Libia e 20 in Italia. Ne valeva la pena?”.
La risposta oggi è ovvia.
“No, certo. Ma quando uno ama il proprio lavoro, come si fa a opporsi? E poi non è che ci siano così tanti cantieri, ormai, in Italia. Andare all’estero è stata anche un’esigenza”.
Cosa le rimane di tutta questa esperienza?
“Una valigia azzurra, quella che vede lì, nell’angolo. Un trolley con pochi indumenti è tutto ciò che mi è rimasto. Salvo l’aveva con sé nell’ultimo viaggio verso Tripoli, prima del rapimento. Ma a Malta, in una tappa di passaggio, l’aveva smarrita. Me l’hanno fatta arrivare a Catania che mio marito era già stato sequestrato”.
Le sono state fornite rassicurazioni sul ritorno della salma?
“No, e questa incertezza aggiunge dolore al dolore. Non ho potuto riabbracciare Salvo e non so neppure dove sia ora il suo corpo. Lo aspetto per celebrare un funerale privato. Inviterò il sindaco, basta. Non voglio politici al funerale di mio marito”.
di EMANUELE LAURIA e FRANCESCO VIVIANO, La Repubblica