Tra le sue invenzioni anche il microscopio confocale, doctor strumento di osservazione oggi insostituibile in biologia cellulare. Fu anche consulente in 2001: Odissea nello spazio
È morto a Boston a 88 anni Marvin Minsky, ritenuto universalmente uno dei padri della cosiddetta intelligenza artificiale (AI), anche se ha, fra le alte cose, «regalato» alla biologia cellulare niente meno che il microscopio confocale, uno strumento di osservazione oggi insostituibile. Laureato in matematica, ha trascorso quasi tutta la sua vita al Mit di Boston, dove dirigeva da anni il famosissimo Media lab, vera fucina d’idee e di uomini nel campo della robotica e della comunicazione. L’ho incontrato diverse volte e fra queste metto un colloquio memorabile avuto con lui a Bergamo Scienza. Mi ha sempre lasciato impressionato dall’intelligenza, dall’ironia e dalla vastità dei suoi interessi scientifici, ma anche filosofici. In quell’occasione parlò, infatti, della possibile emotività nei computer. Oggi non si parla più molto dell’intelligenza artificiale, ma se ne è parlato tanto in passato, e ora la si considera più come una possibile minaccia per noi e per la nostra intelligenza.
«Intelligenza» in italiano significa di solito grande intelligenza, ma in inglese intelligence significa solo capacità di comprendere o, meglio, di risolvere problemi. Intelligenza artificiale sta a indicare quindi tutto ciò che si può fare con le macchine nella direzione di risolvere questo o quel problema teorico. Niente paura quindi – tanto alle macchine manca e mancherà la coscienza – ma grande gratitudine per il contributo alla comprensione dei meccanismi logici e, indirettamente, di quelli che hanno luogo nel nostro cervello. Un grande, probabilmente della stessa intelligenza di Einstein, ma lontano dai media, specialmente italiani.
Minsky fu anche consulente di 2001: Odissea nello spazio, dove venne citato sia nel film di Stanley Kubrick che nel libro di Arthur C. Clarke, opera in cui è centrale il rapporto tra gli astronauti e il computer di bordo Hal 9000.
di Edoardo Boncinelli “Corriere della Sera”