Il governo di Riad vuole portare in Borsa la societò controllata dallo Stato primo produttore al mondo di greggio e numero due per riserve disponibili. Una operazione dettata dalla crisi delle finanze pubbliche, prostate per il crollo del prezzo della materia prima. Potrebbe capitalizzare anche più di Apple
MILANO – Le grandi banche d’affari si sono già messe in fila. Persino disponibili a rinunciare a parte delle ricche commissioni che sono solite spuntare nelle operazioni di Borsa, pur di mettere la firma sulla quotazione dell’anno. Perché se le intenzioni del governo dell’Arabia Saudita verranno confermate, there e ci sono tutte le condizioni perché lo siano, siamo di fronte alla matricola destinata a diventare la società a maggiore capitalizzazione del mondo.
Non c’è ancora la data per il debutto, ma da qualche giorno negli ambienti finanziari che contano non si parla d’altro. Da quando la dinastia whanabita che governa il Paese ha deciso di vendere una quota di Aramco, la prima società al mondo per produzione di petrolio e la seconda per riserve accertate. Lo stesso governo e la stessa società che gli esperti del settore indicano tra i responsabili del crollo del prezzo del greggio, sceso ormai a quota 30 dollari al barile. Sarebbero stati loro, gli sceicchi che si contendono con gli iraniani il ruolo di guida religiosa, politica e (dopo la fine dell’embargo a Teheran) anche petrolifera del Medio Oriente, a causare la caduta delle quotazioni. Impedendo all’Opec di prendere una decisione sull’aumento della produzione per calmierare la discesa dei prezzi.
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Una scelta che potrebbe sembrare deleteria anche per i sauditi, visto che con il petrolio a 30 dollari soffrono, e non poco, anche le casse pubbliche di Riad. Il bilancio dello Stato è in rosso da due anni ed è peggiorato nel 2015, toccando un disavanzo di 367 miliardi di riyal (98 miliardi di dollari), pari secondo stime non ufficiali al 15-16% del Pil, soprattutto per le minori entrate petrolifere (meno 23%). Così, nel budget del 2016, il primo sotto il nuovo monarca Salman bin Abdulaziz Al Saud è previsto un calo del deficit di 10 miliardi di dollari.
Ma non ci si faccia ingannare. Come negli scacchi, i sauditi stanno sacrificandi pezzi importanti del proprio schieramento per dare matto agli avversari. A cominciare dagli iraniani che si stanno riaffacciando sul mercato petrolifero, dopo l’accordo con gli Usa che ha messo fine all’embargo economico. Ma dopo un anno di prezzi bassi, quasi un terzo delle piccole compagnie statunitensi è andata gambe all’aria. Per non parlare delle potenze emergenti come il Brasile, dove il break even sui costi di estrazione è nettamente più alto rispetto a quello che si registra in Medio Oriente. Per poter prolugare una guerra di logoramento da cui non può più tornare indietro, l’Arabia Saudita ha varato un piano di risanamento economico che prevede un aumento della tassazione ma anche la privatizzazione di alcuni servizi. Un’apertura al capitale straniero che passa anche per la quotazione della sua corazzata. Aramco produce un barile di petrolio ogni otto nel mondo, ha riserve per 261 miliardi di barili, il che equivale a 10 volte di più dell’americana ExxonMobil, suo principale rivale. Aramco ha 62mila dipendenti, 10 mila dei quali provengono da 77 Paesi diversi, ha undici centri di ricerca nel mondo di cui l’ultimo appena aperto a Pechino. L’Asia è il suo mercato principale e vorrebbe mantenere il primato, visto che assorbe il 62% delle esportazioni di greggio, il 46% dei prodotti raffinati e il 25% dell’esportazione di gas. Il governo saudita è così spinto alla quotazione del suo gioiellino dalle difficoltà delle casse pubbliche. Ma lo fa, tutto sommato, nel momento giusto, avendo da poco aperto i propri mercati finanziari ai capitali esteri. Soltanto nel giugno scorso, Riad ha fatto entrare investitori istituzionali di tutto il mondo nella propria Borsa, il Tadawul Saudi Stock Exchange, la piazza di scambi più grande del Medio Oriente. Vengono trattate 165 società quotate, la cui capitalizzazione complessiva vale attorno ai 570 miliardi di dollari, una cifra che è di cinque volte superiore al valore della Borsa di Dubai, che capitalizza 97 miliardi di dollari. L’indice, il Saudi Arabia’s All-Share index, è salito del 15 per cento dall’inizio dell’anno scorso, mettendo a segno uno dei risultati migliori tra quelli conseguiti dai mercati emergenti. I particolari della quotaziome di Armaco, pero’, sono ancora tutti da definire. Che si proceda lo ha annunciato il vice/principe ereditario Mohammed bin Salman al settimanale The Economist. Poi una nota della società ha confermato che sono allo studio varie opzioni per l’apertura di una adeguata porzione del capitale. Le prime indiscrezioni parlano non più del 5 per cento delle azioni. Tenendo conto che buona parte della valutazione di una società petrolifera si basa sulle riserve accertate, la capitalizzazione potrebbe raggiungere cifre monstre. E potrebbe superare la prima società al mondo che al momento risponde al nome di Apple con i suoi 560 miliardi di dollari. Con tanti saluti a ExxonMobil.
Luca Pagni, Repubblica