Una visita a Expo in macchina: che succede se sbagli parcheggio?
Cartelli e pettorine
Forse bisognava prepararsi prima, studiare l’avvicinamento alla meta e la mappa delle soste come fossero campi dell’Everest. Se un pomeriggio di agosto a una famiglia viene la “pazza idea” di andare all’Expo in macchina partendo da fuori Milano, comodo biglietto serale da 5 euro, con le ore contate, un nonno ottantenne dalle ginocchia sifoline e un assonnato bambino di 4 anni, può succedere di finire in via Stephenson 107 e attraversare quella doppia curva a piedi, e pure al buio (al ritorno), sperando nella benedizione e nella paletta dei vigili. All’inizio pensi: a che serve prepararsi? Per una volta, al diavolo Internet e la schiavitù del navigatore. Ovvio: basterà seguire i cartelli sparsi tipo pollicino. Come fai a perderti? Ci sono indicazioni Expo disseminate in città, nell’hinterland, probabilmente già alla barriera di Chiasso e sulla Cisa… All’inizio vai alla grande. Un lunedì dopo ferragosto, la tangenziale beata e semideserta come una highway del New Mexico, prendi per la Milano Laghi, non passi neanche la barriera, ecco le insegne Expo: indicazioni blu con la P di parcheggio, altre subito sotto con l’icona (molto meno visibile) degli automezzi tipo camion. Sono sempre accoppiate, e vien da pensare che siano intercambiabili. O l’una o l’altra, a scelta. Dove c’è posto. Anche i nomi sono belli: Merlata, Roserio. Perle di topografia locale che fanno da contorno alla sfilata internazionale. Ma arriva il primo intoppo. Non sai, perché non hai studiato il vademecum, che il parcheggio di Merlata è piccolo (150 posti) e da prenotare via Internet. Tu non hai prenotato e quindi la polizia alla rotonda ti fa segno di proseguire, da lì l’unico cartello con la scritta Expo ti fa rientrare sull’autostrada direzione Milano. Segui la cometa dei cartelli. Compare la P di Trenno, rimane Roserio, rispunta Merlata, a un certo punto mentre stai puntando verso la città e cominci a pensare di aver sbagliato, ecco che da lontano appare la luce della pettorina di un addetto con il logo Expo che ti fa segno che sei sulla strada giusta. Wow, che organizzazione. Sono lì per te.
Via Stephenson
Entri in una via di periferia, rari palazzi, qualche vecchio capannone lungo la ferrovia, atmosfera dimessa e dismessa; ma gli svincoli nuovi e l’asfalto scuro danno l’idea di lavori recenti, di una mano benigna sulla città. Alla rotonda successiva un altro omino con la rassicurante pettorina Expo ti dà indicazioni. Vallo a sapere che ti sta indicando l’entrata del parcheggio privato e non il sottopasso nuovo di zecca che comunque non è chiaro dove porti. Così, un flusso di auto guidate dalle piccole vedette verdi arriva come un razzo in fondo a via George Stephenson italianizzato in Giorgio, l’inventore inglese della mirabolante locomotiva a vapore Rocket. Rallenti, la solita pettorina ti fa deviare nel polveroso sterrato che porta al Car parking Expo perché invece via Stephenson da lì in poi, oltre la doppia curva che immette sul cavalcavia verso la sospirata entrata-biglietteria di Roserio, è riservata a taxi e pullman. Evidentemente le scritte arancioni sull’asfalto (ce n’erano di più a maggio, mi ha detto De Bellis) non bastano. Ecco perché chi arriva in quel punto, sotto una triste insegna da sfasciacarrozze, accanto a mister pettorina verdina con la scritta Expo (chi lo sa che è taroccata?) del parcheggiatore privato trova anche le divise ufficiali dei vigili: sono chiamati a bloccare la strada principale al traffico privato di noi puzzoni che, non solo abbiamo sbagliato parcheggio (mancando i quattro “ufficiali”), ma a monte di tutto abbiamo commesso il peccato originale di snobbare i mezzi pubblici. «La prossima volta prenda il treno», mi dirà più tardi una vigilessa. Certo. Per chi vive fuori Milano è facile, come sanno bene i santi pendolari. Su e giù da rari e sporchi convogli di provincia, di sera, con un signore ottantenne che a quell’ora avrà già profuso tutte le energie disponibili nello struscio espositivo, disposto – pur di contemplare dal vivo l’Albero della Vita (e non dall’autostrada) – a strusciare e strisciare contromano per il Decumano facendo il passo del leopardo.
La navetta otto posti
«Dovevate prendere la navetta», mi dirà poi la vigilessa. Ma una volta che hai parcheggiato, già con il pensiero alla doppia coda biglietteria-metal detector che ti aspetta all’entrata, fermarsi sotto la pensilina in attesa del promesso shuttle è dura. Un pulmino otto posti per un parcheggio da mille macchine. Roba che arrivi sul Decu quando anche le salsicce del ristorante tedesco sono finite. In più, due avvisi firmati “la direzione” avvertono che nel pomeriggio la navetta è sospesa un paio d’ore, e che dopo le 21 e 30 (quindi nell’orario di punta dell’uscita) c’è posto per “disabili, anziani e bambini”. Il personale però assicura che in cinque minuti a piedi si va e si viene (il sito parla di una «passerella pedonale che vi permetterà di raggiungere l’esposizione universale in totale sicurezza»). E quindi che fai? Vai, ti mangi un po’ di polvere sullo sterrato, attraversi la doppia striscia continua (all’andata intorno alle 19 niente vigili con la paletta) incrociando un signore in carrozzina spinto dalla moglie. Non puoi che fare così, perché “la passerella” (il marciapiede) è dall’altra parte della strada. Cammini in parallelo al grande ponte inaugurato dal presidente Maroni (quando si sono resi conto che sotto c’erano le biglietterie – mi ha detto il delegato Cgil per l’Expo Antonio Lareno – l’hanno di fatto chiuso al pubblico perché era un balcone perfetto per attentatori). In fondo c’è la rotonda, il gran piazzale per i pullman che fanno la spola dai parcheggi ufficiali. E da Roserio per magia (con una modica coda di mezz’ora) ti ritrovi in Oman, pronto a percorrere il mondo controcorrente.
Le strisce no
Sarà stata la lasagna con la mora romagnola, o il fatto che si è riusciti a visitare solo il bosco austriaco: all’uscita, poche ore dopo, l’euforia ha lasciato il posto alla stanchezza. Il passo di leopardo ha sfinito le ginocchia del nonno, in piedi, in coda, aspettando il pulmino 8 posti. E allora si deambula. Io guidatore corro avanti a prendere l’auto. Il flusso di pullman sul cavalcavia è costante e minaccioso. E’ al ritorno che si capisce quanto sia brutta quella doppia curva che i pedoni attraversano per imboccare lo sterrato del parking. C’è una vigilessa con la paletta. Ti scappa detto che bisognerebbe mettere almeno delle strisce pedonali (per non parlare di un bel semaforo). La risposta tecnica, asettica («Non si possono mettere le strisce, c’è la doppia curva») suona (anche se non è questo l’intendimento) come una classica beffa italiana. Ma come: le strisce no, però il flusso dei pedoni alla spera-in-dio sì!”. L’agente ribatte che Lei e i colleghi sono lì proprio per rendere sicuro il passaggio dei pedoni. Ha ragione, e dobbiamo esserle grati. Ma è chiaro che qualcosa non va. O no? Due pattuglie della polizia locale impiegate per l’incolumità dei clienti del parcheggio privato di via Stephenson 107? «Abbiamo mandato decine di segnalazioni», si lamenta desolato l’ufficiale di turno. Ma chi l’ha data l’autorizzazione se non c’erano i criteri di sicurezza?
La società
Sono passati quattro mesi dall’apertura dell’Expo. «E i vigili continuano a metterci i bastoni tra le ruote, a dirci che siamo abusivi», a fare il loro dovere. Un paio di giorni dopo parlo con Michele De Bellis, titolare del parcheggio, mentre sistema gongolando le ultime auto del tutto esaurito intorno alle 19 e 30. Il boom di visitatori post-ferragosto ha investito anche questo ex centro di smaltimento rifiuti «rimasto chiuso per 10 anni perché dall’altra parte della ferrovia c’era un campo rom ed eravamo stanchi dei furti continui e degli incendi». De Bellis dice che hanno chiesto l’autorizzazione («una formalità, una str..») soltanto all’inizio di quest’anno («mio fratello è venuto da Santo Domingo a sistemare il posto, tagliare due vecchi tralicci dell’Enel, mettere la ghiaia»). Chi l’ha detto che la burocrazia è lenta? Racconta del padre, che nel Dopoguerra arrivò da Foggia a Milano e cominciò raccogliendo tondini di ferro (e poi carta) nei cantieri. La società che emette i biglietti del parcheggio (dai 10 ai 12 euro la tariffa giornaliera) si chiama Early S.p.A. Ha un sito Internet, dove si legge di un capitale sociale di 50 milioni, e alla voce comunicati stampa c’è la notizia della sua nascita nel 2011 e poi basta. De Bellis parla di diversi soci, con attività principale «l’acciaio, due fabbriche in Russia e in Bosnia, uffici a Limbiate». Mi sta simpatico. Sua figlia, un bella bambina bionda, lo chiama perché c’è un auto da mettere in doppia fila. Può sembrare curioso leggere sul sito che “il gruppo” ha sede legale in questo recinto con strutture semi-distrutte, dismesso fino a pochi mesi fa. Il core business dei de Bellis è a Limbiate, settore smaltimento rifiuti. Nel 2012 il comune ha bloccato un contestato “gassificatore” progettato dalla Ecotrattamenti (l’azienda di famiglia), impianto che la precedente giunta non aveva osteggiato. Nel 2010 Tommaso De Bellis (parente) è stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta su traffico illegale di rifiuti pericolosi. Ma questa è un’altra storia. Per il Car Parking Expo c’è l’autorizzazione. «Non vogliono lasciarci lavorare. Ieri è venuto qui anche Carminati del Comune. Mi ha detto che dobbiamo aumentare le navette. Ma cosa aumento, se mancano due mesi alla chiusura…».
Autorizzazione
Pietro Carminati, Polizia Municipale di Milano, commissario Capo Responsabile Expo e Sicurezza stradale, venerdì 21 agosto minimizza. «Adesso quel parcheggio fa numeri importanti, stiamo tenendo la situazione sotto controllo». L’entrata Roserio, con linguaggio tecnico, da qualche giorno “carica parecchio” e questo fornisce anche una valvola di decompressione per l’entrata principale. Ci si mette una pezza: «All’inizio della prossima settimana (questa per chi legge, ndr) sarà allestito un passaggio con strisce pedonali e i vigili resteranno comunque sul posto». Ma c’è la doppia curva… «Prolungheremo un po’ il marciapiede». Ieri pomeriggio non c’era traccia di lavori in corso per l’allestimento del passaggio pedonale. Però erano scomparsi lungo la via gli omini con la pettorina “taroccata” Expo che fino alla settimana scorsa smistavano il traffico e davano indicazioni “interessate”. Le strisce possono aspettare. Sono passati “solo” quattro mesi dall’apertura di Expo (e molte segnalazioni dei ghisa sul posto. Non si poteva pensarci subito? Oppure mai? Chi ha dato l’autorizzazione all’apertura di un parcheggio del genere, visto che fuori non c’erano le condizioni di sicurezza necessarie, con pedoni che sfidano la sorte e vigili costretti a fare i semafori? Dopo questa domanda al telefono, ho immaginato Carminati che camminava sul Decumano allargandole braccia. Un po’ di silenzio. «Be, l’assessorato alla Mobilità e all’Ambiente». L’assessore in questione, Pierfrancesco Maran, ha sicuramente la risposta giusta. Se arriva, gli offro una lasagna con la mora romagnola e il tartufo nero. Giuro che arrivo in treno (con il nonno).