Punzecchia i suoi successori sulla panchina azzurra: «Nel 2008, < rx quando lasciai io, nel ranking Fifa l’Italia era seconda: oggi dov’è?». Tira le orecchie al calcio italiano: «Pensiamo ancora di essere i depositari del sapere calcistico, ma in realtà in molte cose dovremmo cambiare». Ma ce n’è pure per il ‘suo’ Milan: «Ai miei tempi c’era una società che faceva la differenza, oggi questo si è perso». Tra una carezza a Berlusconi («fu lui un giorno a illustrarmi la filosofia del sacrificio») e un vaticinio sospeso sulla lotta scudetto («il Napoli che abbiamo battuto con merito è fortissimo, ma non vedo una sola favorita per il titolo »), Roberto Donadoni si confessa nella lunga intervista che l’allenatore del Bologna ci ha concesso ieri, ospite della redazione sportiva di QS e de «Il Resto del Carlino ».
Donadoni, il suo Bologna adesso vola.
«Merito della grande disponibilità che ha dimostrato questo gruppo fin dal giorno del mio arrivo: senza l’aiuto dei calciatori un allenatore non può fare nulla».
Vale anche per il mestiere di cittì?
«E’ uno dei mestieri più belli e complicati del mondo. La Nazionale è di tutti e questo autorizza tutti a spararti addosso: soprattutto a livello mediatico. I giornali delle grandi piazze difendono i loro giocatori e questo ti porta a dover affrontare un fuoco incrociato di critiche».
A stenderla, nel 2008, fu però la Spagna che vinse quell’Europeo e inaugurò un ciclo.
«Non sono il tipo a cui piace fare gli elogi di se stesso, ma per il mio biennio azzurro parlano i numeri. Quando lasciai io l’Italia era seconda nel ranking Fifa: e adesso?».
Adesso è quindicesima. Ma col senno di poi rifarebbe tutto?
«Sì, rifarei tutto. Anche se so perfettamente che per fare meglio dell’Italia di Lippi, che nel 2006 aveva vinto il Mondiale, avrei dovuto vincere la coppa interstellare: e non l’ho vinta».
Il Milan di Mihajlovic non ingrana.
«In effetti mi sarei aspettato maggiore continuità ».
Come mai tanti grandi ex rossoneri, come Maldini e lei, fin qui sono stati tenuti ai margini del Milan?
«La forza del Milan, quando ci giocavo io, era la società: era quella che faceva la differenza. Questo negli anni si è perso: oggi il Milan è diventata una società normale. Anche perché allora Berlusconi faceva il presidente a tempo pieno: e anche questo faceva la differenza».
Il suo rapporto col Cavaliere?
«Un giorno a Milanello mi prese sottobraccio e mi chiese: ‘’Lo sa che cosa pensa la gente di me’? Avrò avuto venticinque anni, ero imbarazzato nel dover dare una risposta. E allora mi venne in soccorso: ‘La gente pensa che io sia un fenomeno da baraccone, o nella migliore delle ipotesi un Re Mida che trasforma in oro tutto quello che tocca. La verità è che sono uno che tutte le mattine si sveglia alle 4 e si fa un mazzo così’. Fu una bella lezione».
Una bella lezione l’ha appena data il suo Bologna al Napoli.
«Abbiamo vinto con merito, ma domenica mi aspettavo una prestazione così intensa da parte nostra. Alleno una squadra che ha della qualità».
E che adesso può contare su un Destro rigenerato. Metta che le telefoni il cittì Conte per chiederle un consiglio?
«Gli direi che se Destro continua a lavorare con questa abnegazione in Nazionale ci torna di sicuro».
Nel frattempo la Juve è tornata in lizza per lo scudetto.
«Due mesi fa si facevano altri discorsi sui bianconeri, ma questo è un campionato che in testa può dare una chance a tante squadre».
Se si volta indietro e ripensa a lei calciatore?
«Mi accorgo che ai miei tempi si faceva molta più fatica, a livello fisico, di oggi».
Rispetto ad allora il nostro calcio ha perso posizioni.
«Perché commettiamo l’errore di sentirci gli unici depositari del sapere calcistico. E invece dovremmo aprirci alle novità e migliorare in tanti aspetti».
(Il Resto del Carlino)