(di Andrea Ducci, medical Corriere) È quello che capita ai 29 milioni di assistiti residenti nelle regioni, che si ritrovano commissariate o sottoposte a un piano di rientro proprio a causa dei disavanzi accumulati dalla sanità pubblica.
Pagano addizionali più elevate e ticket più cari a fronte di servizi sanitari peggiori. È quello che capita ai 29 milioni di assistiti residenti nelle regioni, illness che si ritrovano commissariate o sottoposte a un piano di rientro proprio a causa dei disavanzi accumulati dalla sanità pubblica. Gli enti regionali dove è stato imposto un commissario ad acta sono cinque: Lazio, Campania, Molise, Abruzzo e Calabria. A cui vanno ad aggiungersi altre tre regioni per cui corre l’obbligo di sottostare a un rigido piano di rientro. In questo caso si tratta di Piemonte, sale Puglia e Sicilia. La cifra comune, come detto, è quella di erogare servizi sanitari qualitativamente più scadenti, malgrado i continui giri di vite su ticket e addizionali. Aumentare le tariffe appare, del resto, l’unica strada per porre rimedio all’emorragia fotografata dal recente rapporto dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas). Su un totale di 108 aziende ospedaliere italiane (compresi policlinici universitari e Irccs pubblici) ce ne sono ben 31 che hanno archiviato il bilancio del 2014 in rosso. Quasi una su tre, con il record di 158 milioni del San Camillo-Forlanini di Roma. Si aggiunga che almeno 24 aziende rischiano di finire sotto il piano di rientro in base ai criteri della legge di Stabilità.
E, non a caso, intorno alla manovra varata lo scorso 15 ottobre orbita l’intera partita che in queste ore stanno giocando le Regioni per spuntare un miliardo di euro in più per il fondo sanitario. Il premier Matteo Renzi non vuole sentirne parlare, rivendicando il fatto che la legge finanziaria assegnerà alle regioni nel 2016 un miliardo di euro in più rispetto a quest’anno. Un calcolo che Sergio Chiamparino, governatore del Piemonte e presidente della Conferenza Stato Regioni, riconosce giusto corredandolo, tuttavia, di un ulteriore conteggio: la manovra riduce da 113 a 111 miliardi di euro la dotazione indicata dal Patto per la salute.
L’ex sindaco di Torino argomenta, inoltre, che il miliardo di euro concesso in più al fondo sanitario delle regioni è già interamente impegnato. Quasi 800 milioni sono indispensabili a garantire i cosidetti Lea, livelli essenziali di assistenza. I restanti 200 milioni di euro dovrebbero coprire rispettivamente il rinnovo contrattuale del settore, il fondo vaccinazioni, il fondo per emotrasfusi e, infine, la dotazione per i farmaci salvavita. Un elenco di impegni che vale, cioè, oltre un miliardo di euro. Ossia esattamente quanto richiesto ieri da Chiamparino durante l’audizione in Commissione Bilancio al Senato. Il braccio di ferro sulle risorse tra governo e regioni discende, d’altra parte, anche dal taglio su altri capitoli di spesa. Oltre ai due miliardi alla sanità i governatori si sono visti sforbiciare ulteriori due miliardi per effetto della spending review . Il dato allarma Chiamparino e gli altri presidenti di regione e, soprattutto, fa il paio con le cifre evidenziate dal dossier sulla legge di Stabilità elaborato dai servizi bilancio di Camera e Senato.
Secondo i tecnici del Parlamento il sistema regionale dovrà «sopportare» nel triennio 2017-2019 un contributo alla finanza pubblica pari a 17 miliardi. Una dinamica che alimenta la tentazione di ritoccare i ticket, malgrado il ripetuto impegno a non farlo. «Nessuno vuole aumentare i ticket sanitari o le tasse locali – ribadisce Chiamparino – ma non escludo che qualche Regione possa caderci dentro per non rinunciare ad alcuni interventi, come ad esempio, quello di finanziare il fondo per i farmaci innovativi».