Il mondo islamico, patient forse, non è mai stato così polarizzato come nella contemporaneità. Da un lato c’è il Daesh, un desiderio di ricostruire un moderno califfato, costellato di sgozzamenti, violenze alle donne e ai minori e di distruzioni, anche di monumenti dell’umanità. Dall’altro Dubai e i paesi dell’Islam moderato, dove l’emersione del mercato è ormai una realtà compiuta. Provare a trovare una sintesi è impossibile, ma scendere nel profondo di ciò che sta accadendo per capirne i dettagli e le implicazioni è un obbligo per chiunque voglia vivere non passivamente la globalizzazione. Dubai è l’evoluzione del capitalismo nel ventunesimo secolo, quello nel quale il massimo della libertà di iniziativa economica e finanziaria riesce e può convivere con l’assenza di vere forme di democrazia rappresentativa. Un mercato costruito a tavolino importando usi, costumi, regole e istituzioni occidentali e capace di generare molta ricchezza distribuibile a chiunque abbia voglia di intraprendere e di fare. Un mercato ben funzionante, quindi, liberato per di più da ogni oppressione fiscale e dai rischi della costruzione di un generoso welfare state pagato più dai debiti di bilancio pubblico che dalle tasse. Ecco spiegato perché Dubai, nonostante tutto, continui ad attrarre frotte di occidentali ben educati che non hanno alcun problema a trasferirsi nell’emirato del Golfo per mettere a frutto, nel miglior modo possibile, le proprie capacità. In nulla e per nulla sono preoccupati dalla mancanza di democrazia. Il fatto che a Dubai non si voti e non esista neppure un Parlamento non li preoccupa neppure un po’. È una manifestazione della forza incontenibile del mercato verso gli interessi umani: fino a quando il capitalismo riesce a produrre sviluppo ed occupazione per tutti i gusti, le tematiche civiche e costituzionali passano in secondo piano. Ed è anche la prova che può esistere e prosperare un’economia di mercato senza democrazia nella quale gli occidentali, resi liberi di votare dalle rivoluzioni ottocentesche innescate dalla rivoluzione industriale e dal primo capitalismo, oggi non hanno alcun problema a vivere. Un modo indiretto per dire che il diritto a poter esprimere la propria idea o a votare non è poi ritenuto così importante. Il benessere attuale e potenziale viene prima. Ma, prima o poi, anche il capitalismo oligarchico di Dubai o della Cina dovrà aprirsi alla democrazia? In un mondo dalla crescita del pil senza limiti probabilmente no, nel nostro mondo probabilmente sì. Ma non accadrà come i più si aspettano, cioè con rivolte di piazza che chiedono nuove costituzioni e nuovi parlamenti. Si passerà dal sovrano o dall’oligarchia ai cittadini collegati dal web che esprimono il proprio parere o voto. La democrazia futura cinese o di Dubai sarà un trasversale Tripadvisor coordinato dall’alto da forme evolute di oligarchia. Vincerà il consumatore non il cittadino.
Edoardo Narduzzi (ItaliaOggi)