Nella crisi che sta attanagliando tutti i settori dell’economia, nonostante la fame di informazione sempre maggiore, anche l’editoria rientra tra quelli colpiti. In un Paese che in fondo ha sempre letto poco, il calo delle vendite all’edicola, alcune altalenanti variazioni della pubblicità, il lento decollo dell’informazione online a pagamento rendono quindi vulnerabili l’industria della comunicazione e i suoi addetti. Tra questi in special modo i giornalisti, che si trovano a dover affrontare anche un momento di ripensamento della loro professione.
A chi deve lasciare il posto in redazione in età ancora giovane a causa delle difficoltà in cui si dibattono le loro testate, pharm quindi, si impone spesso un ripensamento globale della propria vita, insistendo nel giornalismo o inventandosi nuove strade professionali.
Un caso che merita attenzione è quello di Stefania Rabotti, che dopo 25 anni di professione in diversi organi d’informazione ha intrapreso un percorso davvero originale. Giornalista sportiva, Rabotti ha visto chiudere L’Informazione di Reggio Emilia dove lavorava, trovandosi in cassa integrazione (oggi esaurita): “E’ stato molto doloroso rinunciare alla professione che ho amato con tutto il cuore. Il calcio è sempre stato la mia passione, sin da bambina quando andavo allo stadio Mirabello a vedere la Reggiana con mio padre. Poterlo quindi seguire da giornalista è stato un privilegio: ho sempre amato scrivere, farlo sulla mia passione è stato esaltante”.
Come sei arrivata al giornalismo?
“Dopo la laurea in Etologia nella Facoltà di Scienze Naturali dell’Università di Parma con il professor Danilo Mainardi, ho capito che l’insegnamento era l’unico sbocco lavorativo possibile. Ammetto, tuttavia, che non mi esaltava. Allora ho iniziato a fare qualche piccola collaborazione giornalistica sportiva per testate della mia provincia, finché sono approdata alla redazione reggiana de Il Resto del Carlino ed al Corriere dello Sport. Infine, L’Informazione come caposervizio e calcio, calcio, calcio…ma non solo, anche sport in generale”.
Arriviamo così al 2012, quando L’Informazione chiude e ti trovi a spasso…
“Il primo momento è stato di assoluto sbigottimento. Poi ho tentato in ogni modo di trovare altri sbocchi lavorativi nel giornalismo, purtroppo invano. A quel punto, ho ritirato fuori la mia vecchia laurea in scienze naturali, la mia vera seconda passione, ed ho pensato che forse valeva la pena di provarci…”.
Andiamo per ordine. Impegnata professionalmente nello sport, nel suo tempo libero Rabotti non ha mai smesso di interessarsi di natura ed ambiente. Questa passione negli anni la porta a dedicarsi specialmente all’Africa, con viaggi e safari fotografici in Kenya, Namibia, Tanzania, Zimbabwe, Sud Africa e Botswana, conoscendo territori e persone fuori dal comune. Poi, nel 2013, la scintilla.
“Dopo aver conosciuto l’Associazione Italiana Esperti d’Africa decisi di andare a Torino per seguire la fase teorica del corso per Guida Professionista per safari. A questa, è seguita la fase pratica in Kenya e Namibia, dove ho conseguito il brevetto di 1° livello. Oggi sono una delle poche donne italiane Guide professioniste e sono diventata socia della Professional Trackers Safaris con gli amici Elisabetta Levis e Massimo Vallarin, due professionisti davvero esperti”.
Insomma, lasciata (a malincuore, comunque) la sedia della sua scrivania davanti ad un pc, oggi Rabotti siede sul sedile di un fuoristrada davanti a branchi di elefanti ed altri animali: accompagnare turisti nella savana africana tra leoni, bufali, giraffe, ecc in massima sicurezza è il suo business.
“Le testate per le quali ho lavorato mi hanno dedicato ampi articoli, definendomi coraggiosa per la scelta intrapresa. La cosa mi ha lusingato. Oggi sono qui in Kenya convinta e soddisfatta, ma ancora piena di progetti e programmi personali e professionali”.
La natura, comunque, sembra ormai di famiglia…
“Esatto. La frequentazione dell’Africa e il mio rapporto con l’AIEA, all’inizio come volontaria, è nata anche grazie a mio figlio Simone che, prima di me, ha saputo cercare nuove strade dove letteralmente non c’erano. Dopo il suo percorso in AIEA, ha seguito il corso della Field Guides Association of Southern Africa e dal 2011 anche lui è un Ranger professionista che lavora nella riserva di Thornybush, vicina al famoso National Kruger Park sudafricano”.
Se oggi ripensi alla tua professione giornalistica, cosa ti viene in mente?
“Nostalgia. Ho amato profondamente la mia professione, sebbene alla fine vissuta tra notevoli stress professionali. Oggi sta cambiando tutto, grazie per esempio alle nuove tecnologie di comunicazone, ma ciò non toglie che il mondo del giornalismo è rimasto la mia casa d’origine e serberò sempre la bellezza di una professione vivace ed appagante”.
Torniamo all’Africa. Come sono i turisti nei tuoi confronti?
“Variano. Quando trovano una Guida donna, sebbene già lo sappiano quando prenotano il safari, restano un po’ perplessi. Il mio lo si pensa ancora come un lavoro da uomini duri. Poi si allentano, aiutati anche dalla bellezza dei posti dove li portiamo e dalla completezza della nostra assistenza e se vanno contenti e felici. Come in tutte le cose la differenza la fa la passione vera: per me è sempre stato così”.