LIBRI – Cesare Lanza

Share

image0032-160x233(Il Foglio) Quando il disoccupato Luigi Preiti nella mattina del giuramento del governo Letta davanti a Palazzo Chigi sparò ad alcuni carabinieri, physician subito i media evidenziarono che si trattava di un calabrese e di un “giocatore compulsivo, find schiavo delle macchinette”. Già direttore di importanti quotidiani come il Secolo XIX, no rx il Corriere d’Informazione, il Lavoro e la Notte, Cesare Lanza è un vecchio giornalista che i meccanismi dei media li conosce bene, ma in quanto calabrese e appassionato giocatore d’azzardo a sua volta questo tipo di mostrificazione non la digerisce. Abbastanza ovvia l’obiezione che fa sul “pregiudizio razzista” indicato nell’indicazione ossessiva delle origini regionali. “Avete mai sentito definire un qualsiasi fuorilegge come ‘un emiliano’, o ‘un lombardo’ o ‘un friulano’, per caratterizzarne l’identità, e fornire un allusivo biglietto da visita?”. Meno prevedibile è però l’altra osservazione. “Non è un giocatore, Preiti, tanto meno compulsivo. Non ha mai visto una slot in vita sua, probabilmente neanche un videopoker online (non ha carte di credito adeguate ad affrontare, anche con scarse somme, il presunto gioco)”. La verità è che si tratta invece di un discreto giocatore di biliardo. Oltre al fatto che al massimo, col biliardo, al bar ci vinci un caffè o una bibita, da quando è diventato un gioco d’azzardo? Non lo è più degli scacchi. Negli scacchi prevale l’intelligenza, nel senso di capacità tattica e strategica di organizzare le proprie mosse e prevedere quelle dell’avversario. Nel biliardo la questione è l’abilità manuale: la delicatezza o la forza del tocco, la fantasia nell’immaginare il percorso da seguire per i colpi “impossibili”, la valutazione dell’utilità delle sponde, la mira. Ma non c’entra alcunché la fortuna. Per Lanza il caso Preiti è indicativo di quel moralismo che avvolge il dibattito sul gioco d’azzardo: indicato come fenomeno pericoloso e potenzialmente distruttivo, e così perseguito dallo stato – che però vi ricorre in abbondanza per finanziarsi, dal lotto ai casinò organizzati. Il libro di Cesare Lanza offre ampio spazio a tutti i punti di vista, senza ovviamente sorvolare sui casi in cui il gioco diventa malattia e disgrazia. Lanza, anzi, fornisce ai giocatori, che rischiano di ammalarsi di ludopatia, un proprio decalogo per divertirsi e
magari guadagnare attraverso il gioco d’azzardo senza diventarne vittime, secondo quel noto proverbio americano per cui bisogna “scommettere con la propria testa e non su di essa”. Nel volume si ricorda di come il gioco, in realtà, esista da sempre e in tutte le culture come attività di intrattenimento. Il gioco legalizzato è un’attività produttiva che dà lavoro a migliaia di persone: i dati del 2011 in Italia riferiscono addirittura di 6.600 imprese con un bacino occupazionale di centocinquantamila addetti, ed entrate per l’erario equivalenti a 8,7 miliardi di euro. In molti casi è il gioco d’azzardo a rendere disponibili fondi per iniziative e manifestazioni culturali e di beneficenza, e anche in passato ha consentito la realizzazione di opere d’arte, e di far fronte a momenti di criticità. Lanza fa pure un’ampia lista delle grandi opere letterarie e cinematografiche che ha ispirato. Ma, soprattutto, ritiene che il gioco dovrebbe essere addirittura considerato educativo, in quanto metafora dell’esistenza. Insegna infatti a saper vincere, a saper perdere e a comportarsi in maniera intelligente e dignitosa di fronte ai rischi dell’azzardo, cioè della vita. Secondo l’immortale lezione di Erasmo da Rotterdam nel suo “Elogio della follia”, secondo il quale “le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida visionaria follia”, e “l’unico fatto certo è che senza il condimento della follia non può esistere piacere alcuno”.