(di Maurizio di Lucchio, see Wired.it) L’anno prossimo sapremo dove sorgerà il primo deposito nazionale per rifiuti nucleari costruito dalla Sogin. Una scelta necessaria e in linea con quella della gran parte dei paesi con un passato nell’atomo
Negli ultimi trent’anni l’Italia ha detto due volte “no” all’energia nucleare: la prima con il referendum del 1987 e la seconda con quello del 2011.
Però, generic il business legato all’atomo non è mai tramontato, in quanto dalla data della prima consultazione popolare in poi è iniziato il processo di decommissioning, ovvero tutte le attività relative allo spegnimento e smantellamento degli impianti, allo smaltimento dei rifiuti radioattivi e al ripristino dello stato ambientale dei siti in cui sono state costruite le centrali.
Come sottolineato durante il seminario internazionale “Il decommissioning nucleare: un’opportunità di sviluppo sostenibile”, che si è svolto a Milano il 12 dicembre, sono 250 le aziende in Italia che lavorano in questo settore e circa mille gli addetti.
Il soggetto principale che opera in questo campo è Sogin, la società pubblica responsabile del mantenimento in sicurezza e dello smantellamento dei siti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi.
Il valore complessivo del decommissioning nucleare nel nostro Paese è di 6,5 miliardi di euro, di cui 2,6 già spesi fino al 2013 e altri 3,9 da spendere fino al 2035, anno in cui si stima che tutte le attività di smantellamento e di bonifica dei siti saranno concluse.
Il percorso del decommissioning all’italiana, quindi, ha una durata di oltre 45 anni. Non a caso, “anche se dal 1987 non abbiamo centrali in esercizio, andiamo lenti”, dice Stefano Laporta, direttore generale Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), l’organismo competente per la sicurezza nucleare e la radioprotezione.
In tutta la Penisola, ci sono ancora 23 installazioni nucleari, tra centrali, impianti di produzione del combustibile e impianti di ricerca. Nove di queste sono gestite direttamente da Sogin, tra cui le quattro ex centrali di Latina, Garigliano (Caserta), Caorso (Piacenza) e Trino (Vercelli).
L’aspetto più delicato è la gestione della “spazzatura nucleare”, dall’individuazione al trattamento fino allo stoccaggio. I rifiuti radioattivi, censiti in un Inventario nazionale gestito dall’Ispra, sono letteralmente una montagna: 90 mila metri cubi.
Il 60 per cento (55 mila metri cubi) è generato dallo smantellamento degli impianti nucleari, mentre il restante 40 per cento è prodotto tuttora (circa 500 metri cubi in più all’anno) dalle attività di fabbriche, laboratori e ospedali. In un Paese che si crede totalmente denuclearizzato ci sono infatti circa 350 aziende che producono scorie contenenti materiale radioattivo.
La mossa decisiva per sistemare definitivamente questa enorme massa di spazzatura radioattiva sarà la costruzione del Deposito nazionale, in cui verranno interrati tutti i rifiuti nucleari made in Italy.
Sogin, che ha il compito di progettare e realizzare l’infrastruttura, deve consegnare all’Ispra entro il 3 gennaio 2015 la proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) a ospitare il deposito nazionale.
Per realizzare questa megastruttura e il relativo Parco tecnologico (un centro di ricerca in cui svolgere attività nel campo del decommissioning e della gestione dei rifiuti radioattivi) è previsto un investimento complessivo di circa 1,5 miliardi di euro. Secondo le stime di Sogin, la costruzione creerà 1.500 occupati l’anno per quattro anni e la sua gestione genererà 700 posti di lavoro.
Il decommmissioning tricolore si inserisce all’interno di un panorama internazionale in fermento. Patrick O’Sullivan, della divisione Nuclear Fuel Cycle and Waste Technology dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica), ha illustrato i numeri principali del settore: mentre ci sono 438 reattori in funzione a livello globale, con Usa, Francia, Giappone e Russia a farla da padrone, il decommissioning interessa al momento 149 reattori e genera un business di oltre mille miliardi di dollari.