di Cesare Lanza
Scommettiamo che almeno alcuni tra gli ex sessantottini, che hanno annunciato il Sì al referendum, alla fine voteranno No? Forse non lo sapremo mai, ma spero che succeda, e se succede lo sapremo. Se c’è una cosa che ha sempre accomunato quelli del ’68 è il desiderio di intervenire e apparire. Quindi, se qualcuno cambierà idea, lo sapremo secondo uno storico copione: un manifesto, una mozione, un «sofferto» documento di autoanalisi. L’incredibile decisione di sostenere Matteo Renzi, presa da 68 ormai canuti virgulti del movimento studentesco, mi sembra ispirata proprio dalla narcisistica voglia di cogliere un’occasione propizia per apparire. Zero contenuti, con una ingegnosa trovata. Perché 68 firme? E se i volontari fossero stati 69, 70, 71? Oppure erano di meno e qualcuno è stato tirato per la giacchetta, pur di arrivare al mitico 68? Intravedo, in questa delicata operazione estetica, la mano del mio amico Renzo Canciani, il più narciso tra i narcisi e il più bravo, tra i firmatari, nella comunicazione. Ma perché mi emoziono? Nel ’68 avevo 26 anni, due bimbe, un terzo figlio in arrivo e lavoravo come un mulo. Non avevo gran tempo per il movimento, però ne ero affascinato. Amicizie, sogni, chiacchiere, grandi discorsi, divergenze su tutto. Scarse partecipazioni le mie, ma con solidarietà e passione. Poi, lo sgretolamento dell’utopia romantica, molti sessantottini finiti a servire coloro che avevano combattuto. E ho accettato e giustificato tutto. Ma questa sparata finale non è sostenibile. Non mi associo al giusto sarcasmo del Fatto, del Manifesto, di Mario Capanna. «Vi siete bevuti il cervello»? Ma sono stremato dalla malinconia.
Cesare Lanza, La Verità