
(di Tiziano Rapanà) È ovvio il successo di Vannacci. Perché rappresenta un sentire istintivo, viscerale, da italiano comune che lavora e paga le tasse e vuole vivere tranquillo. Molto lontano anche da un fare smaccatamente iattante dei promotori della moralità à la page, guardiani di un modello estetico e religioso informe (figlio di mode social e claudicanti modelli audiovisivi). E se non aderisci pedissequamente, a quell’intendere il mondo, sono guai. Sì, è forse pure questo il segreto del successo del libro Il mondo al contrario del generale Roberto Vannacci. È merito degli altri, che non vogliono capire i bisogni e le piccole tragedie dei penultimi obbligati al triste ruolo di eterni penitenti (“Con le auto a diesel, inquini. Vergogna!” e cosette così, tanto per instillare un senso di colpa inopportuno). I dotti e sapienti dovrebbero farsi un giretto nei paesini, affollati dai doloretti quotidiani. Di famiglie che riflettono sulla possibilità di passare una serata in pizzeria, almeno una volta al mese, o di acquistare l’aspirapolvere nuova (anche di valore scadente). Il libro di Vannacci propone un’idea di società diversa dalla mia, ma capisco l’interesse dei lettori. La tracotanza degli oppositori ha trainato le vendite del libro e ha acceso una curiosità, che non smette di spegnersi. Tanto si è detto e si continuerà a dire, sui contenuti del libro e sul tutt’attorno di carattere politico (tra possibili corteggiamenti dei partiti, in vista delle elezioni europee, e altre congetture). Una cosa mi sembra certa: alcuni non vogliono vedere la sofferenza dei tanti, che comprano il libro di Vannacci come un moto di liberazione. La spocchia obnubila lo sguardo e non permette di ipotizzare un’alternativa, che dia fiducia e speranza a giovani e famiglie. Dove sono gli intellettuali? Loro dovrebbero costruire una parola legata alla aspettativa di un futuro degno e vivibile, ma vivacchiano in astrazioni salottiere da viveurs ravveduti.