(di Tiziano Rapanà) Ultimamente mi torna spesso in mente una vecchia canzone del repertorio di Mario Merola, Spusalizio ‘e marenaro, dove l’amore proletario viene descritto con purezza e vivacità. La canzone napoletana molto spesso è la summa apologetica delle qualità del povero. In Piscaturella, del repertorio di Sergio Bruni, la protagonista ha ‘e sentimente ‘e ‘na regina. In ‘Na bruna, sempre del maestro Bruni, lei ha giurato amore eterno ad un pescatore e non se ne fa nulla delle lusinghe di un ricco avventore. Gigi D’Alessio, con Mezz’ora fa, racconta l’amore di un uomo che lascia la moglie borghese per una donna modesta del rione Sanità… di esempi ce ne sono a iosa. Napoli ha sempre lodato le virtù dei cittadini più, gli sfortunati, i disagiati. Sono stati raccontati nei libri – Giuseppe Marotta su tutti con L’oro di Napoli -, nei films, nelle sceneggiate. Sono loro i re di Napoli, i più amati dall’arte e dalla cultura, perché si sa chi è povero ‘e denaro è ricco ‘e core. Pertanto non deve stupirvi la diatriba tra i pizzaioli campani e Briatore per il costo della pizza. Per lui 4 euro sono pochi. I pizzaioli difendono il basso prezzo, perché la pizza è par excellence il cibo del popolo, dello sfruttato, di chi non arriva a fine mese. Non a caso proprio Gino Sorbillo, il leader della protesta, reinventò anni addietro la cara vecchia idea della pizza a credito. Briatore mi è simpatico, ma patteggio spudoratamente per gli amici pizzaioli. Io amo le trattorie, le osterie e non voglio spendere un capitale per mangiare bene. E comunque viva la polemica, perché finalmente non si parla più di parigina. A Napoli, per un mesetto abbondante, non si è parlato d’altro. Tutto è iniziato a Portici, al bar Brunèè. Da qui è partito l’estenuante refrain: la parigina è cotta, la parigina è cruda e via così. Ora la pizza è ritornata protagonista della scena mediatica con un’altra diatriba.