Caro Direttore,
vorrei trasferire e condividere alcune riflessioni in merito a un’esperienza che ho vissuto in prima persona ma che riguarda tutta la nostra comunità. Il fatto è semplice: recentemente mi sono trovato all’aeroporto di Fiumicino, di ritorno da un volo internazionale. Con rigore militare — e come me tanti altri passeggeri in transito — ho preparato ogni cosa per rendere il più fluido possibile il passaggio ai controlli (telefonino alla mano, green pass sul display, documenti, mascherina indossata). Arrivato a ridosso dei varchi dove mostrare i passaporti alle autorità, mi sono trovato davanti a un girone infernale. Delle 20 postazioni previste per i controlli, solo 4 erano operative. Ci siamo trovati tutti ammassati mentre andava creandosi un assembramento inquietante. Per attraversare questo «cerchio del fuoco» ho impiegato un paio d’ore, malgrado io possieda un passaporto europeo.
A poca distanza da me ho visto il delirio: una massa di cittadini extraeuropei anch’essi stipati come sardine ai controlli, che si agitavano fino a manifestare inevitabilmente scatti di ira. Tra questi vi erano molti americani che, alla fine di tutto, hanno impiegato non meno di 4 ore per uscire da quello che verrà da loro ricordato come un incubo. Tutto questo, ripeto, perché vi erano solo 4 funzionari della Polizia di frontiera impegnati nel controllo passaporti nelle uniche 4 postazioni operative sulle 20 plasticamente visibili.
La riflessione è diretta al turismo in generale e a quello straniero in particolare. Ma anche alla necessità di mettere in campo ogni strategia utile per fidelizzarlo, affinché la destinazione Italia torni ad essere in testa alle classifiche europee e internazionali, dopo che il Paese ha vissuto quasi due anni di isolamento con tutto ciò che la pandemia ha provocato. A questo proposito cito pochi dati ma essenziali: in un anno «normale» i turisti internazionali contribuiscono per il 50,5% al totale dei pernottamenti; la spesa dei turisti stranieri contribuisce al saldo della bilancia commerciale con 44,3 miliardi di euro. Tanto è vero che nei primi otto mesi del 2021, la spesa dei viaggiatori stranieri in Italia è diminuita di quasi 19 miliardi di euro, con un calo del 61,4% rispetto al 2019 (questo lo dice Banca d’Italia).
Facendo le giuste valutazioni, è evidente che esperienze come quella di cui sono stato testimone non fanno bene al nostro turismo e tantomeno all’Italia. Vogliamo davvero diventare una macchina perfetta per conservare questo «benefit» il più a lungo possibile? Vogliamo davvero puntare alla ripresa? Pensiamo davvero di poter svettare?
La pandemia ha cambiato le cose, come un cataclisma che, oltre ad aver danneggiato l’economia globale, ha anche generato una rivoluzione interiore, nel modo di pensare, di sognare, di pianificare. Oggi il turista straniero, ma anche quello italiano, è diventato più insofferente. Quando viaggia guarda sì alla destinazione, ma soprattutto cerca la semplificazione. Non possiamo permetterci il lusso di sbagliare. Dovremmo aggiustare il tiro qui e ora, perché quando la ripresa ci sarà, e sarà spettacolare, non potremo rimanere nell’angolo.
A vincere può essere solo la volontà di garantire il meglio all’Italia ed al turismo, ovvero il comparto che rappresenta il 13% del nostro PIL e che, più di altri, sarà in grado di assicurare a sua volta il meglio all’economia del Paese.
Bernabò Bocca, corriere.it