La riforma del processo “non nasce da un programma ideologico di partito” ma “dalle realtà delle cose”. Lo ha sostenuto la ministra della Giustizia Marta Cartabia, nella foto, intervenendo a un incontro con gli studenti dell’Università Statale di Milano sottolineando “una profonda crisi del nostro sistema giustizia” relativa a “due aspetti fondamentali: una è la crisi di fiducia da parte dei cittadini molto alimentata da fatti e da come sono stati raccontati che riguardano una parte della magistratura: scandali, opacità, lotte di potere, carrierismi che sono reali e che inevitabilmente incidono sulla percezione che i cittadini hanno sulla fiducia nei confronti dei giudici e del sistema magistratura”. Secondo la tesi della guardasigilli, il secondo aspetto riguarda l’incertezza sulla durata e sull’esito del processo su cui “è imperativo intervenire”. Cartabia rivolgendosi alla platea di universitari ha citato il report 2020 dell’Unione Europea sullo stato di diritto in Italia: “Dal punto di vista dell’autonomia, dell’indipendenza dei giudici e delle garanzie il sistema italiano è da 10 e lode e solidissimo ma il paragrafo successivo riporta che nella percezione delle persone la fiducia nell’autonomia raggiunge un grado di sufficiente/buono solo nel 30 per cento degli intervistati”. “Uno dei fattori che scardina la fiducia tra le persone – ha evidenziato la titolare del dicastero di via Arenula – è legato ai tempi, oltre ai fatti che riguardano una componente minoritaria della magistratura. Siamo il primo paese in Europa per condanne della Corte Europea dei diritti dell’uomo seguiti dalla Turchia e dalla Francia, mentre i risarcimenti dovuti per la legge Pinto ammontano a 574 milioni di euro negli ultimi cinque anni. In termini costituzionali – ha concluso – tutto questo è uno sfregio alla ragionevole durata del processo che è una garanzia costituzionale”.