Studiare la risposta dei pipistrelli al Covid-19 per recuperare informazioni essenziali al fine di utilizzare al meglio le terapie esistenti e per sviluppare nuovi trattamenti. E’ l’obiettivo indicato in una revisione scientifica sui danni al sistema immunitario umano dovuti al coronavirus, pubblicata su Science Immunology, a firma di Marcel Nold e Claudia Nold e scritta in collaborazione con un’equipe medica australiana e cinese. Da quando, nel dicembre 2019, è stato identificato per la prima volta il ceppo Sars-Cov-2, questo è mutato più volte in diverse varianti, Alpha, Beta e Delta, più infettive dell’originale, soprattutto l’ultima, che può essere fino al 79% più trasmissibile della prima e anche più mortale. Secondo il professor Nold, “rimane urgente la necessità di terapie efficaci, soprattutto per via di queste mutazioni. L’obiettivo finale nella lotta al Covid-19 rimane la prevenzione dell’infezione, così come curarlo nei pazienti. Ma – dice – non si sa quando tutto questo sarà possibile. Pertanto, restano fondamentali gli sforzi per identificare terapie sicure ed efficaci che permettano di impedire al virus di progredire”.Secondo quanto osservato nella revisione, i pipistrelli contraggono il virus ma mostrano sintomi minimi. “Prevenire la progressione verso una forma più grave della malattia o trattare questa in modo più efficace, emulando di fatto il comportamento visto nei pipistrelli, potrebbe diminuire la sofferenza nei pazienti e salvare vite”. Per cui, sostiene Nold, la premessa è quella di studiare come i pipistrelli resistano al coronavirus e non solo per la pandemia in corso, ma anche per quelle future. Come si legge nella revisione, il virus del Covid è apparso nei pipistrelli in un lasso di tempo che va dai 70 ai 40 anni fa ma “rimane sconosciuta l’esatta specie o l’ospite intermedio coinvolto nell’epidemia iniziata alla fine del 2019”. Quando si ammalano e si infettano a vicenda, questi animali non mostrano sintomi né problemi ai polmoni come negli esseri umani. Capire come i pipistrelli resistano è quindi un modo per mettere a punto terapie che vadano a sollecitare il sistema immunitaria del paziente, come quello di potenziare gli interferone di tipo I e di tipo III o bloccando gli inflammasoni, esattamente come avviene negli animali. Un sistema del genere “potrebbe ridurre al minimo l’infiammazione, l’indebolimento del sistema immunitario e – spiega ancora Nold – la tempesta di citochine”.