Era preventivato già da mesi che il passaggio della pandemia di Covid-19 avrebbe messo sotto duro stress il comparto bancario europeo, alle prese con un’economia in contrazione e quanto mai prima indecisa riguardo al proprio futuro. Soprattutto, i danni maggiori attesi – e secondo le stime assai prossimi – sarebbero arrivati dai finanziamenti già erogati e di prossima erogazione che probabilmente i consumatori non saranno in grado di restituire a causa di un mutato scenario economico.
In questa situazione, dunque, per le banche dell’Eurozona è necessario trovare un bilanciamento per non erodere il proprio capitale sociale continuando però a svolgere il proprio ruolo anche sociale all’interno dell’economia europea. E di conseguenza, ciò non potrà che pesare sugli investitori e gli azionisti degli istituti di credito, che dopo le parole dei portavoce della Banca centrale europea potrebbero dire addio ai dividendi societari sino – almeno – al 2021.
Come riportato dalla testata tedesca DerSpiegel e già nell’aria da svariate settimane, la Bce ha espresso le proprie perplessità circa la possibilità che nel corso di questo 2020 gli istituti di credito europei destinassero quote di utile in qualità di dividendo. Alla base di questo ragionamento, infatti, ci sarebbe una costruzione volta a garantire una maggiore solidità alle banche, mettendole nella condizione di poter operare anche in una situazione di tassi bassi ed alta percentuale di non restituzione dei capitali imprestati. E in questo modo – oltre a garantire la propria stessa sopravvivenza – potrebbero continuare a destinare fondi alle imprese ed alle famiglie volti ad accelerare la ripresa economica, aiutando l’intero sistema europeo a sollevarsi più rapidamente.
In modo estremamente sintetico si potrebbe dunque dedurre dalle richieste di Francoforte che le banche siano messe nella condizione di non poter fare due cose in particolare. La prima – e quella di maggior interesse per gli azionisti – è quella relativa alla non possibilità di distribuire utili che dovrebbero dunque essere rimandati alla prima data utile dopo che le correnti si saranno nuovamente calmate. La seconda – di interesse soprattutto per l’economia del territorio – è quella di fallire, lasciando un buco anche importante in determinate aree geografiche che potrebbe ridurre la velocità di ripresa dell’economia.
Su questo secondo indirizzo in particolare, la Bce si era già espressa negli scorsi mesi per voce dell’economista italiano Andrea Enria quando si parlò all’epoca della necessità di accorpamento degli istituti di credito più deboli. L’obiettivo, anche in quel caso, era quello di garantire la presenza delle banche sul territorio scongiurando la possibilità che un elevato numero di insoluti rendesse insolventi le banche stesse. E anche in questo caso, quindi, l’indirizzo mantenuto dall’Unione europeo è stato pressoché lo stesso: ma chi ne farà le spese di questa decisione?
A subire maggiormente le indicazioni di Francoforte saranno gli azionisti e gli investitori degli istituti di credito, che negli ultimi mesi si erano gettati sul comparto bancario alla sua solidità e relatività stabilità – considerato il momento storico – dimostrata anche durante la pandemia. Con la speranza infatti di ottenere dividendi importanti, molte operazioni finanziarie sulla filiera bancaria erano state portate avanti in attesa di importanti dividendi che, a questo punto, potrebbero però non essere distribuiti agli azionisti, lasciando gli investitori finanziari a bocca asciutta. In uno scenario che, ppurtroppo, potrebbe dare vita ad una generalizzata crisi di sfiducia nei confronti degli istituti di credito.
Il rischio per le banche, di conseguenza, è collegato ad un fuggi fuggi generale dal settore, con gli investimenti dirottati verso quei comparti che potrebbero maggiormente rispondere alle richieste degli speculatori finanziari. E in questo scenario, infatti, non sarebbero inattese giornate segnate da forti alti e bassi dei titoli bancari alle prese con l’indecisione degli investitori, nonostante le garanzie di stabilità evidenziate sino a questo momento. Evidenziando ancora una volta quanto – soprattutto da parte dei banchieri centrali – la parola abbia una forza sui mercati ben superiore rispetto al reale andamento delle società.
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