Si fa strada l’idea che l’Europa uscirà meglio degli Usa dalla crisi. Il lingotto veleggia sopra 1.930 dollari l’oncia e supera il livello del 2011, favorito dallo status di bene-rifugio e dal calo del dollaro. La fiducia delle imprese tedesche supera le attese. Atlantia e Intesa in evidenza a Piazza Affari
I listini europei partono misti, dopo l’incertezza registrata in Asia, poi migliorano con i dati macro in arrivo. Londra segna un calo dello 0,4% in avvio, in linea con Parigi. Francoforte sale invece dello 0,1% e Milano tiene meglio a +0,3%.
Tiene banco nelle sale operative e nei commenti degli addetti ai lavori il differente ritmo della ripresa del Vecchio continente rispetto a quello americano, che – ragiona Bloomberg – è figlio di una diversa risposta alla crisi sanitaria. Secondo l’agenzia Usa, in Europa – nonostante ci siano ancora numerosi focolai che destano preoccupazione – l’idea che la situazione sanitaria non sia fuori controllo avvantaggia consumatori e aziende dando una spinta a consumi e produzione. A rafforzare questo teorema contribuisce l’indice Ifo, uno dei principali barometri dell’economia della Germania, che sale a luglio a 90,5 punti, sopra gli attesi 89,3 punti e dopo gli 86,2 punti di giugno. L’indice delle aspettative avanza a 97 punti, dopo i 91,4 punti di giugno e contro gli attesi 93,9 punti, mentre quello sulla situazione attuale avanza da 81,3 punti a 84,5 punti, sotto gli attesi 85,2 punti.
A Piazza Affari si mette in evidenza Atlantia: oggi era prevista la definizione dell’intesa con Cdp per l’ingresso della Cassa nella società autostradale, ma nel fine settimana è emerso che servirà qualche giorno in più. Intanto Cdp ha fatto filtrare il piano che prevede una operazione di mercato con ingresso contestuale all’Ipo di Aspi, ma i fondi presenti in Atlantia sono contrari. Rush finale, invece, per l’Ops di Intesa Sanpaolo su Ubi: oggi cade il titolo di quest’ultima perché viene meno la possibilità di acquistare sul mercato e aderire all’offerta che chiude domani. I future di Wall Street provano il rimbalzo, dopo la chiusura negativa della fine della settimana scorsa. C’è attesa per i dati dell’indice Ifo in Germania.
Sullo sfondo restano le accresciute tensioni tra Usa e Cina. E che la situazione globale resti complicata è certificato dall’andamento del prezzo dell’oro che non è mai stato così caro. I timori sull’economia mondiale, tra le tensioni Usa-Cina e le conseguenze della pandemia del Covid 19, spingono il metallo, uno dei beni rifugio per eccellenza, ai massimi storici a fronte del dollaro sceso al livello più basso da oltre un anno a questa parte, tra tassi reali Usa negativi e le attese di una politica monetaria accomodante da parte della Fed (il cui board si riunisce in settimana). La “febbre dell’oro”, dunque, non si placa e il metallo prezioso continua la sua corsa al rialzo, stracciando il record fissato a settembre 2011 e toccando il massimo storico di 1.943,92 dollari l’oncia. “L’oro ha sfondato quota 1.900 dollari, ma il superamento della soglia di 2.000 dollari l’oncia sembra solo una questione di quando, non di se”, ha detto Barani Krishnan, senior commodities analyst di it.investing.com.
Tra le valute, come detto l’approvazione del Recovery fund continua a spingere l’euro in rialzo sul biglietto verde oltre 1,17 dollari e ai massimi da settembre 2018. La moneta unica sale in apertura di scambi a 1,1710 dollari. Stabile contro la divisa giapponese a 123,67 yen. Lo spread tra Btp decennali e gli omologhi Bund tedeschi apre stabile a 144 punti, sui livelli della chiusura della fine della settimana scorsa. Il rendimento del decennale è all’1,01%.
In mattinata, la Borsa di Tokyo ha chiuso in calo con l’indice Nikkei che ha ceduto lo 0,16% a 22.715 punti.
Tra le materie prime, il prezzo del petrolio è stabile, in un mercato preoccupato per le tensioni tra Usa e Cina e per l’aumento dei contagi da coronavirus, che non accennano a diminuire, anche se con un dollaro debole il valore del greggio tende a salire. Sui mercati asiatici i future sul Light crude avanzano di 2 cent a 41,31 dollari e quelli sul Brent restano invariati a 43,34 dollari al barile.
Repubblica