«Se ci fosse stato anche Celentano sai che botto qui al tuo compleanno»
Gli devo gratitudine per un insolito, inaspettato regalo. Si presentò con Tony Renis e Gigi Sabani e insieme si esibirono in un concerto improvvisato. Qualsiasi tv avrebbe voluto trasmettere lo show che mi dedicarono
(di Cesare Lanza per LaVerità) Gli devo un insolito, inaspettato regalo, per il giorno del mio compleanno, nel 1999, a Roma. Mi disse: «Che peccato che non ci sia anche Adriano… Sai che botto e quanta invidia?» Il regalo per me arrivava da lui, Little Tony, insieme con Tony Renis e Gigi Sabani. L’assente, disse, era Celentano, ma non 10 conoscevo, non ero suo amico come con quei magnifici tre… In questi giorni – esattamente il 27 maggio – sono già passati oltre vent’anni e al ricordo mi commuovo: eravamo coetanei. Ma vi racconto per bene. Quando mi trasferii da Milano a Roma, spinto dalle tante conoscenze e anche dai rapporti amichevoli che avevo maturato nel giornalismo e in televisione, un giorno dissi a mia moglie di organizzare un piccolo ricevimento per ricambiare gentilezze e cortesie, e anche gli inviti che avevamo ricevuto nei primi mesi del nostro soggiorno nella Capitale. Era l’ultimo anno dello scorso millennio, in piena estate. Ebbene, mia moglie è una di quelle creature che non conoscono vie di mezzo: le cose non le fa, oppure le pensa e le realizza in grande. Alla fine il «piccolo» ricevimento era diventato una festosa (e molto rumorosa, poveri vicini di casa!) baraonda con più di trecento persone, che si aggiravano a spintoni nelle camere, e tra corridoi e terrazze. Non ricordo nulla di quella sera, salvo una inaspettata sorpresa con cui tre invitati mi festeggiarono: Tony Renis, Gigi Sabani e Little Tony si esibirono in un concerto improvvisato con le loro canzoni, insieme. Un favoloso terzetto, in terrazza. E chi se lo sarebbe mai aspettato? Non credo che avessero mai cantato insieme prima, presumo che non lo fecero mai più, in seguito. Eppure sarebbe stato – lo show che mi avevano dedicato – un momento interessante, inedito, per qualsiasi programma televisivo di intrattenimento. Era presente un mio cugino che viveva in America, mi chiese sottovoce, durante il loro exploit: «Ma chi è quel cantante? Mi ricorda, sembra Elvis Presley. Un Elvis redivivo…». Gli dissi che era Little Tony e lui annuì: ancora una volta la sua affinità con Elvis Presley era evidente. Mi disse dunque, col sorriso che lo rendeva simpatico a tutti: «Se ci fosse stato anche Adriano…!» E io: «Lo stimi molto, lo so bene». Scoppiò a ridere: «Stimo tantissimo Celentano. Un giorno gli dissi: dunque è vero che ci vogliono due Tony, per fare un Celentano? Ebbene, con quella faccia e le sue pause sai cosa mi ha risposto? “No. Ce ne vogliono di più!”». Gli dissi che, se avessimo organizzato per bene lo show, avrei dovuto invitare anche Bobby Solo, perché no? Lui: «Certo avrebbe partecipato. Importante è esserci divertiti, quando si improvvisa le cose vengono sempre bene».
L’anno dopo, decisi di festeggiare in un ristorante, questa volta con pochi amici. Invitai Little Tony, ovviamente. Ma quella sera lo show improvvisato non ci fu. Si abbandonava ai ricordi: «Provo un grande amore per Roma, sono sempre vissuto qui, e anche se ho girato tante volte il mondo per cantare, quando torno a Roma sono sempre felice perché la sento sempre la mia città». «Guerre, ecologia, disgrazie, solo opportunismo. Un tempo la canzone italiana veniva esportata in mezzo modo, la canzone è canzone, tutto è cambiato, al Festival di Sanremo i grandi non ci vanno». «Ai tempi d’oro mi arrivavano anche 200 lettere al giorno, soprattutto di donne. Rispondevo a tutte. Un giorno mio padre mi ammonì: “Tony, i francobolli costano”». Ma torniamo alle affinità con Elvis Presley. Little Tony lo adorava, come tutti sanno, anche se non lo aveva mai incontrato. Guai però se qualche infelice gaffeur insinuava che lo imitasse! Si somigliavano, ecco tutto. Little Tony aveva un carattere affabile e cordiale con tutti, direi paziente ed educato, sempre tollerante. Per lui Presley era un mito. Il vialetto della sua abitazione romana portava il nome «Elvis boulevard Presley». E mi disse anche con grande tristezza: «Quando seppi che Elvis era morto, passeggiai senza meta sulla spiaggia, per tutta la notte». Nel 1975 aveva inciso l’album Tony canta Elvis, in cui rendeva omaggio al suo maestro, interpretando alcuni suoi classici. Però teneva anche molto alla sua identità. Voleva essere Little Tony e basta. Se poi a tutti ricordava il grande Elvis, il suo maestro, meglio così. Senza parlare tuttavia di imitazioni o di astute strategie di marketing. Non a caso Tommaso Labranca, scrittore e autore televisivo, ha detto: «Ecco un caso di emulazione talmente spontanea e talmente lampante che a volte mi ritrovo a pensare il contrario. Ossia, che Elvis abbia sempre copiato Little Tony». Un grande intenditore di musica, il critico Mario Luzzatto Fegiz, di Little Tony aveva scritto: «Con i successi esplosi dalla fine degli anni Sessanta e all’inizio dei Settanta, assieme a Bobby Solo, è una delle icone del rock’n’roll all’italiana. Irruppe sulla scena vestito di bianco con vistosi fregi luminescenti e la tipica capigliatura alla Presley, di cui aveva non solo la timbrica, ma anche la mimica e soprattutto quei movimenti pelvici che facevano impazzire le ragazzine. Di Presley, Little Tony imitava anche certe abitudini di grandezza: ai festival di Sanremo girava con un seguito di parenti e amici per un totale di 25 persone. Anche se era partito imitando Presley, in realtà era ben più di un sosia». E che fosse molto più di un semplice imitatore lo dimostra la dichiarazione di Vasco Rossi, che ha detto di non conoscere la musica di Presley, ma apprezzava quella di Tony. E lui non ha mai dimenticato il suo grande maestro. Una volta mi aveva detto, scherzando ma non troppo: «Parlare di Elvis per me è naturale per questa semplice ragione: se non ci fosse stato Elvis, non ci sarebbe mai stato Little Tony». Per raccontare Little Tony basterebbe ricordare ciò che è stato detto di lui, alla sua scomparsa. Bobby Solo: «Oggi c’è un grande vuoto per la scomparsa di un compagno di lavoro, un amico vero e generoso e un pioniere del rock’n’roll… Abbiamo vissuto insieme quarant’anni da fratelli del rock. Mi vide ciuffato, magro e spaesato e mi invitò subito a cena. E io dissi subito di sì. Avevo diciannove anni, solo 10.000 lire in tasca e, in mezzo a tutti quei divi, da Paul Anka a Frankie Avalon, mi sentivo intimidito».
Gino Castaldo, critico di La Repubblica: «Incise presto qualche disco, a imitazione dei rocker americani e poi, notato da un impresario inglese, andò a farsi una bella gavetta proprio in Inghilterra. Quando si ripresentò in Italia andò a cercare l’unico o quasi che poteva capire le sue voglie americane, ovvero Adriano Celentano, anche lui alle prese con una trasgressiva traduzione del rock’n’roll a uso e consumo del pubblico italiano. Celentano gli fece ascoltare 24.000 Baci, era il 1961, e andarono in coppia a cantarla al festival di Sanremo. Un successone. Arrivarono secondi, solo perché il vecchio Luciano Tajoli, che rappresentava pienamente la vecchia tradizione, aveva sbaragliato tutti con la strappalacrime Al di là (peraltro firmata da un Mogol alle prime armi), ma i personaggi veramente vincenti furono loro due e dal giorno dopo Little Tony era uno dei più popolari protagonisti della canzone italiana». Nel giugno 2013, poco dopo la morte del padre, la figlia Cristiana ha rilasciato una intervista a Vanity Fair: «Era leggero e forse incosciente. Non ha mai avuto la pesantezza della maturità. E sono cresciuta con questo viavai di fidanzate. Fin da piccola mi sembrava una cosa normale. Ma mio padre non mi ha mai dato motivo per essere gelosa, perché mi ha sempre fatto sentire l’unica donna della sua vita. Sono nata che i miei genitori erano già separati: non ho mai avuto una visione di famiglia normale». Cristiana racconta poi che quando lei è nata, il successo di Tony era già al tramonto, «ma lui viveva nella gloria di quei vecchi trionfi, e non ha mai avuto un calo vero di popolarità. Aveva il terrore che qualcuno potesse considerarlo vecchio. La fobia gli è passato quando ha visto che nessuno lo trattava da anziano, visto che si tingeva i capelli, si buttava per terra mentre cantava, usciva con le ragazze e guidava le spider». Poi, in Italia, i botti del successo. Dal 1966 al 1970 ha fatto 15 film. Riceveva 200 lettere al giorno, soprattutto di ammiratrici, e rispondeva a tutte. Quando Tony era adolescente, le canzoni alla radio erano di Luciano Tajoli, Claudio Villa, Nilla Pizzi. L’avanguardia erano Marino Marini e Renato Carosone. «Poi, all’improvviso, arrivano dischi con una musica incredibile: in crescendo, Banana Boat di Harry Belafonte e Only You dei Platters e finalmente il rock: Tutti Frutti di Little Richard. Su venti ragazzi, alle feste, ce n’erano due che sapevano ballare il rock e tutti gli altri attorno a guardare e a battere le mani…».
Little Tony, pseudonimo di Antonio Ciacci, era nato a Tivoli il 9 febbraio 1941 ed è morto a Roma il 27 maggio 2013, a 72 anni. Cittadino della Repubblica di San Marino, di famiglia sammarinese da sette generazioni, e con i genitori entrambi originari di Chiesanuova, è vissuto sempre in Italia, ma non ha mai richiesto la cittadinanza italiana. La sua salute iniziò a vacillare il 23 aprile 2006: durante un concerto a Ottawa fu colpito da un infarto. Non fu però il suo «cuore matto» a stroncarlo, ma un tumore ai polmoni. Un lungo ricovero presso la clinica di Villa Margherita, a Roma, dove è stato accudito per tre mesi prima di spegnersi. Alla fine quasi nessuno, nel mondo dello spettacolo e perfino tra i suoi colleghi, sapeva del suo stato fisico, della malattia che lo aveva sfigurato. Su Little Tony, un tempo così bello e amato dalle ragazze, vigeva una sorta di mistero. Aveva fatto la sua ultima apparizione in tv il 9 marzo 2013, nel programma / migliori Anni di Carlo Conti. Durante questa sua ultima apparizione televisiva aveva ricordato il giorno in cui andò a fare le prove per incidere Cuore matto, ed era poco convinto della canzone, che considerava una «canzoncina», e inoltre aveva già inciso Riderà. Dopo le prove si sedette e dietro di lui sentì una voce dirgli: «Hai una canzone che venderà milioni di dischi, è un’idea fantastica!». Quella voce era di Domenico Modugno.