(di Mauro della Porta Raffo) Bambino, condizionato dalla nonna materna che mi diceva “Devi tifare per Bartali. Lui sì che è un buon cristiano: è amico del papa, appartiene all’Azione Cattolica e ha dedicato la sua vita a santa Teresa del Bambino Gesù!”, preferivo il buon ‘Ginettaccio’ a tutti gli altri ‘eroi’ delle due ruote per quanto fosse, in quei lontani primi anni Cinquanta, avviato all’inevitabile declino. E, d’altra parte, come non essere ‘bartaliani’ dopo aver letto quanto dello scalatore toscano aveva scritto già nel 1938, celebrandone la vittoria al Tour de France, il magnifico Orio Vergani? “Guardalo mentre pedala. Ti può sembrare un’immagine barocca; sembra che pedali con le palpebre. Anche le palpebre vanno, sia pure insensibilmente, in su e in giù. È il più calmo di tutti, dicono: ma guarda, nella guancia, la breve fossa scavata dall’ansia nervosa… Nella fatica e nella lotta la plastica del suo viso perde ogni frivolità… È un viso rude, che a un tratto si affina e si incide e non è più la creta volgare ma il bronzo dei volti di eroi così come li modellarono gli antichi scultori… Corre con la gioia cupa di un guerriero che va ad annunciare la vittoria… Corridore su una corda sola (la salita)… rasenta il prodigio, un prodigio che ha del magnetico… Un capolavoro di volontà… sostenuto… da una convinzione morale”.
Ecco, diverso da Alfredo Binda, la cui ‘naturalezza’ nello sforzo che per lui tale non sembrava resta insuperabile, agli antipodi per stile rispetto all’apparentemente fragile e in qualche modo animalescamente ‘più nobile’ (era tutt’uno con le due ruote) Fausto Coppi, pronto al sacrificio quant’altri in sella mai, quel benedetto toscano sapeva davvero farsi amare. Ma ‘il Gino’ – e tutta la sua lunga avventura terrena lo dimostra – è stato generoso di sé anche al di fuori dell’agone sportivo come ben si addice a un vero credente. Additato quale ‘salvatore della patria’ allorché una sua clamorosa vittoria in una tappa di montagna del Tour del 1948 venne ‘usata’ dalla radio per in qualche misura collocare in secondo piano l’attentato che il giorno prima aveva visto vittima l’allora segretario del PCI Palmiro Togliatti (che, per fortuna sopravvissuto e in grado di parlare, aveva di suo già cercato di abbassare i toni per evitare possibili conseguenti manifestazioni o, addirittura, sommosse), Bartali, benché non molto gradito al regime fascista (“A Mussolini non sono piaciuto”, avrebbe detto dopo un loro incontro), era già ‘qualcuno’ addirittura nel 1936. Vincitore, quell’anno, per la prima volta del Giro d’Italia, i padri Salesiani pubblicarono una commedia, scritta da Giuseppe Pratesi, a lui dedicata che avrebbe dovuto essere rappresentata negli oratori di tutta Italia alla domenica pomeriggio. Poca cosa, per il vero, ma già abbastanza da insospettire il ministro Starace che diede disposizione perché del Nostro i giornali si interessassero solo per le gesta sportive evitando “inutili resoconti sulle sue giornate di cittadino”.
Mai, quasi per disamore di pelle, personalmente coinvolto con il fascio, gli toccò incredibilmente durante la guerra di indossare la camicia nera per aiutare gli ebrei. Gli fu, infatti, chiesto da un amico vescovo di trasportare tra Assisi e Roma i documenti falsi che servivano a permettere a quei poveri perseguitati di salvarsi. Lo fece percorrendo in bicicletta, come fosse in allenamento, le strade e superando i posti di blocco in virtù della propria fama che, unita alla camicia, gli apriva il varco. Rischierà per questo la vita a conflitto terminato, ingiustamente accusato di aver servito quel regime con il quale non aveva invero mai voluto avere niente a che fare! ‘Usato’ nella seconda metà degli anni Quaranta in funzione anticomunista senza che ne fosse pienamente consapevole, Gino, nel 1947, si vedrà addirittura citare da papa Pio XII in un famoso discorso in piazza San Pietro: “È l’ora dello sforzo intenso. Anche pochi istanti possono decidere la vittoria. Guardate il vostro Gino Bartali, membro dell’Azione Cattolica: egli ha più volte guadagnato l’ambita ‘maglia’. Correte anche voi in questo campionato ideale in modo da conquistare una ben più nobile palma”.
‘Democristiano’ pur non avendo mai detto di esserlo e benché si fosse rifiutato (“A ciascuno il mestiere suo!”) di accettare nel 1948, nel momento più caldo del braccio di ferro tra comunisti e DC, una candidatura alla Camera, anche in questo si vedrà contrapporre Fausto Coppi (che, a sua volta, nella stesa occasione, non volle candidarsi per il Fronte Democratico Popolare), da tutti considerato di sinistra. Ecco, in proposito, le parole vergate da Paolo Volponi: “Sentivo Bartali come un uomo quieto, appagato di un certo tipo di società, di società minore. Insomma, me lo figuravo come un democristianone. Coppi, invece, lo vedevo come uno dell’opposizione… Non aveva l’aria di uno nato per vincere”. Paradossalmente, l’uno e l’altro (lo confesseranno anni dopo), in quella difficile congerie, votarono DC! Anziano, notissimo per il suo “Gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare”, portava se stesso in giro per l’Italia intera con burbera grazia, esempio di come sia possibile sempre ‘prendere la vita di petto e guadagnarci in salute’.