La severità della crisi che stiamo fronteggiando potrebbe spingere la BCE a far cadere molti di quelli che fino a poco tempo fa erano considerati tabù nell’Eurozona
Una crisi senza precedenti, come tutti ormai la definiscono. L‘improvvisa irruzione – con la forza di un terremoto o, meglio ancora, di uno tsunami- sullo scenario globale e nel dibattito europeo del covid-19 ha fatto saltare il banco e uno dopo l’altro iniziano a cadere molti di quelli che fino a poco tempo fa erano considerati tabù. Immediato il binomio alla base del ragionamento: a un evento senza precedenti si risponde con interventi senza precedenti.
Proprio nella giornata di ieri, è arrivata una clamorosa indiscrezione del Financial Times stando alla quale la BCE starebbe lavorando ad una “bad bank” che possa raccogliere i crediti in sofferenza (NPL) delle banche europee, quelli passati, derivanti dalla crisi finanziaria del 2008, e quelli futuri, generati dalla pandemia. Lo scopo, piuttosto evidente, sarebbe quello di “ripulire” i bilanci dalle sofferenze. In Europa si stimano circa 506 miliardi di NPL, cifra dimezzata rispetto a quattro anni fa.
“Solo con una bad bank si può risolvere il problema degli NPL”, ha detto Yannis Stournaras, governatore della banca centrale greca e membro del direttivo della BCE, riprendendo una proposta avanzata tre anni fa da Andrea Enria, numero uno dell’EBA, l’autorità europea di vigilanza del settore bancario.
Non manca però uno scoglio non da poco da aggirare: le regole del bail-in. La Commissione europea e gli Stati membri sarebbero infatti reticenti ad abbandonare le regole degli aiuti di Stato, che prevedono un onere a carico di azionisti, obbligazionisti e correntisti oltre una data soglia (100 mila euro), prima di ricorrere ad un intervento pubblico. Ma non è escluso – scrive il quotidiano finanziario britannico – che la discussione possa essere ripresa in ambienti europei.
Subito dopo è arrivata la presa di posizione della Commissione UE che si è affrettata a togliere dal tavolo l’ipotesi di lavoro su una band bank europea, affermando che su questo aspetto l’Unione dispone già di un “ampio armamentario di strumenti e regole”. Lo ha chiarito un Portavoce dell’esecutivo comunitario, Daniel Ferrie, interpellato proprio sull’articolo del FT secondo cui la BCE avrebbe avviato discussioni su questa possibilità, incontrando la contrarietà della Commissione.
“Abbiamo visto articoli di stampa sulla cosiddetta band bank – ha precisato il Portavoce durante il briefing di metà giornata -. Confermiamo che la Commissione non sta lavorando a questo. Disponiamo già di un ampio armamentario di regole strumenti per intervenire sulla resilienza degli attori dei mercati finanziari. Ovviamente la Commissione continua a monitorare da vicino l’impatto del coronavirus sull’economia reale e sulla finanza” e in questo contesto su si tiene in contratto con la BCE e altre istituzioni”.
Sempre restando in tema di tabù, potrebbe addirittura saltarne uno che sembrava intoccabile: la cancellazione dei debiti iscritti a bilancio della BCE. Al 31 marzo scorso, l’istituto ha acquistato titoli di stato per 2.262 miliardi di euro attraverso il programma noto come “quantitative easing”. Questi bond, tra cui 382 miliardi di BTp, fanno il 20% del PIL dell’Eurozona. Un argomento scottante tanto che, un paio di settimane fa, Christine Lagarde è arrivata a smentire che questa soluzione stia prendendo piede, ma se è vero che “Excusatio non petita, accusatio manifesta” tutto lascia pensare che, al di là della smentite di facciata, qualcuno ai piani alti ne stia davvero parlando.
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