Si moltiplicano le iniziative dell’industria della moda per accelerare la ripartenza di un comparto in cui l’Italia è il primo produttore in Europa con il 41%, un motore che da sempre contribuisce alla crescita del Pil nazionale. Giovedì 16 aprile è stata la volta di Confindustria Moda, presieduta da Claudio Marenzi che con i sindacati di categoria (Femca-Cisl, Filctem-Cgil e Uiltec-Uil) ha firmato un protocollo che definisce le modalità per la ripresa delle attività nel settore tessile, moda e accessorio.
«Dovrà essere discusso al Mise e presentato al Comitato scientifico. Ma se le attività non riprenderanno con urgenza, rischiamo di veder scomparire il 50% delle nostre aziende, soprattutto le Piccole che rappresentano il 90% del nostro settore. Parliamo di centinaia di migliaia di posti di lavoro a rischio, ma anche di mancate entrate fiscali per lo Stato per decine di miliardi», ha detto Marenzi che è anche imprenditore della Herno. Al centro dell’accordo c’è la sicurezza dei lavoratori, 580mila addetti se si considerano le imprese della moda ma che possono salire a oltre due milioni se si includono quelle che lavorano attorno a questo mondo.
Della ripartenza e come farla in sicurezza in un settore strategico per il Paese si è discusso ieri con il presidente della Camera nazionale della Moda italiana, Carlo Capasa, con il presidente di Altagamma Matteo Lunelli (Cantine Ferrari) e con Marenzi in occasione del nuovo appuntamento di «L’Italia che investe», in streaming su corriere.it (qui, il dibattito in versione integrale). A coordinare l’incontro è stato Daniele Manca, vicedirettore del «Corriere». Ingressi scaglionati, dotazioni di sicurezza, norme igieniche e organizzazione del lavoro sono alla base dell’accordo firmato da Confindustria Moda.
«Dopo una primavera difficile ora rischiamo di non presentare le pre-collezioni a giugno e non consegnare a gennaio 2021. Facciamo attenzione perché Hermès ha già riaperto a Hong Kong. La chiusura delle nostre aziende ha un impatto in un mese pari al 3% sul Pil», ha spiegato Capasa la cui associazione rappresenta 220 marchi.
Ma l’onda lunga del made in Italy tocca altri settori. «Le nostre aziende sono imprese eccellenti, con un’organizzazione dagli standard internazionali e in grado di mettere a punto protocolli di sicurezza all’avanguardia. Molte di loro si sono riconvertite e hanno già riaperto, dunque possono rappresentare un modello per le imprese, ma anche all’estero, che attendono di ricominciare l’attività», ha detto Lunelli che è anche ambasciatore in molti settori del made in Italy, visto che Altagamma include design (Kartell e B&B), alimentare (da Campari a Cantine Ferrari), auto (Lamborghini e Ferrari, che ha appena preparato un protocollo sanitario per ripartire), gioielleria (Bulgari e Pomellato), nautica (Perini e Azimut), per un totale di 107 marchi.
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